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Storia e Storie

Quel viaggio di Pasolini in auto da Ravello fino al Cilento

Inserito da (redazionelda), domenica 1 novembre 2015 19:12:52

di Rino Mele

Era il 1959, aveva appena pubblicato "Una vita violenta" e, con una Millecento, girò l'Italia per il settimanale "Successo" (diretto da Tofanelli) che, dal 4 luglio 1959, pubblicherà a puntate "La lunga strada di sabbia". Con lui un fotografo, Paolo di Palo: racconterà come Pasolini non prendesse appunti, ma aveva per tutto un'attenzione alta, estrema. Forse guardava con la stessa neutra e partecipativa continuità di una consapevole macchina da presa (non dirà, alcuni anni dopo, che il cinema è "la lingua scritta della realtà"?). Partito dalla Liguria, tracciò nel suo viaggio una linea continua, come un sarto con l'imbastitura.

Ora "La lunga strada di sabbia" è stato pubblicata in volume partendo dagli appunti curati da uno studioso francese, Philippe Séclier, per le edizioni Contrasto. Alla guida di un'automobile poco veloce Pasolini scende l'Italia, un poeta dolce (un marxista feroce): la ferocia e la dolcezza si mischiano in un'ansia politica aspra, come un rimorso. Da Napoli ("che ebbrezza partire da Napoli") raggiunge Castellamare, si trova a confronto coll'immenso corpo del Vesuvio ("orrendo, informe spettro controluce. Percorro la costa che il Boccaccio, settecento anni fa, in una sua novella ha chiamato la più bella costa del mondo"). Sorrento.

Poi, Amalfi ("sul mare velato dal solito temporale meridiano") e ne subisce l'immediato fascino: "basta uno sguardo per afferrare l'intera cittadina a semicerchio sul porto". Sembra pensare a un anfiteatro, forse a un luogo da cui guardare un'enigmatica scena. Ma ne fugge, è irresistibilmente attratto (certo con la mediazione novellistica di Boccaccio) da Ravello. Che all'inizio confonde con Scala e percorre e ripercorre, luogo amato prima d'incontrarlo (come sono le vere passioni) e chiama città, paese, "piccola Assisi".

Ne scrive con parole placate dall'urgenza, quel dilaniare della bellezza che sa di morte: "Ravello è come in uno sperone, sospeso nel vuoto, in fondo a cui si stendono colline che strapiombano sul mare. Ma te ne accorgi solo alla fine, quando giungi alla Villa Cimbrone (...) davanti un viale per un giardino favolosamente neoclassico, che finisce di colpo, laggiù, contro il cielo". Della terrazza estrema della villa trae un sentimento di volo e allora s'attorce in termini erotici e cristiani cari alla controriforma, parla di "estasi" (clicca qui per leggere l'estratto integrale su Ravello).

Da Ravello si stacca dubitando, come avesse dimenticato qualcosa in un albergo interiore. Passa per Minori, per Maiori (che chiama due volte "Maggiori") dove c'è una festa coi fuochi d'artificio. A Salerno non si ferma, passa di notte: Vorrebbe dormire a Paestum ma si ritrova alle due di notte a Vallo Lucano (scrive così). Ed è un incubo notturno, teatrale, uno scendere e salire buie scale di palazzi di una sconosciuta aristocrazia: "Il paese è grande, sembrerebbe opulento, abitato da nobili, in palazzotti seicenteschi o settecenteschi, non privi di solennità". Alberghi e locande inaccessibili, come voraci labirinti: "Le porte sono tutte aperte, giro qualche interruttore ma nessuna luce si accende: corridoi e camere bui: preso da una sorta di terrore ridiscendo". Palazzi vuoti e fantasmi, altre prove di sbarrata ospitalità, con la guida di un fornaio: "Lo seguo: mi trovo in un sordido atrio, uno scrittoio e, accanto, un lettino dove si è alzato a sedere un vecchio, ancora con la faccia adolescente, persa nel sonno (...). Dice di no, che non ci sono camere, no, no. Ecco, risalgo in macchina,mi perdo nel tremendo coprifuoco, tra le montagne".

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