Tu sei qui: Storia e StorieLa seconda invenzione delle Reliquie di Santa Trofimena: storia di un evento prodigioso
Inserito da (redazionelda), martedì 26 novembre 2019 09:40:17
di Francesco Reale*
L'annuale ricorrenza del secondo ritrovamento delle reliquie di S. Trofimena carica ogni anno ciascuno di noi di una particolare tensione interiore che commuove lo spirito e orienta la mente verso l'Alto. In questi giorni di particolare intensità, apriamo il libro della storia e rispolveriamo le pagine che ripercorrono gli avvenimenti che andremo a commemorare per rinvigorirne il senso più vero e per meglio vivere ciò che la provvidenza ci ha permesso di celebrare.
«Gli antichi padri ne hanno ricercato l'amabile testimonianza,
dopo averla riscoperta tra lacrime e moltissime preghiere,
ma la vergine ricomparve con prodigi,
apportando una rinnovata letizia»
(Dall'Inno ai Vespri Iam Te per la traduzione di F. Criscuolo, anno 2013)
Premessa: il 13 luglio 839, la parte (quasi metà) del Corpo di Santa Trofimena restituita alla Comunità di Minori dal vescovo di Benevento Orso fece ritorno a Minori dopo aver fatto tappa a Salerno. Il giorno seguente l'urna fu nascosta nelle viscere dell'allora Cattedrale,«in quel luogo», come ci ricorda l'Anonimo redattore della"Historia Inventionis ac Traslazioni et Miracula Sanctae Trofimenis",«dove lei stessa aveva prescelto la prima dimora e in quello rimane». Nella mente e nel cuore di tutti era radicata la certezza che il venerato deposito giacesse nei pressi dell'altare dedicato alla Vergine nell'antica Cattedrale («Cappella S. Trophimenae est ultima in fine Ecclesiae a cornu destro») pur rimanendo ignota la precisa collocazione persino ai più anziani, come si evince dalla visita"ad limina"del 1606 di fr. Giorgio Lazzari, vescovo di Minori. Sebbene ciò, tutte le ricostruzioni della Cattedrale tennero presente la suddetta credenza inglobando sempre l'altare che, nell'ultima "versione", era situato«in frontespitio maioris partae ecclesiae». Nel corso del XVIII sec., versando la Cattedrale in una status di«minantem ruinam», il vescovo Stanà dispose la sua totale ricostruzione. Durante questi lavori, che ebbero inizio nel 1747 e si protrassero per più di mezzo secolo, accaddero gli avvenimenti che andiamo ora a narrare.
Nel 1793, essendo i lavori a buon punto, si aspettava con ansia la demolizione della Cappella di Santa Trofimena al fine di poter riportare alla luce, dopo nove secoli, le venerate ossa di cui Minori è degna custode. Come si evince dagli atti degli interrogatori, le autorità ecclesiali temporeggiavano ad autorizzare tale operazione, forse con il timore che quanto tramandato dalla tradizione si sgretolasse insieme con le macerie dell'antico altare. A motivo di ciò, il «maccaronaro» Gioacchino Farace, in uno con i compagni Andrea Di Florio, Angelo Galibardi, Francesco Della Mura, Nicola Mansi e Gennaro Palumbo, fu spinto da«la sola fede e divozione»,«parendo (...) che non veniva mai il tempo da scamparsi il luogo dove si diceva da tutti che v'era la Santa», a recarsi«per ben tre volte a sfabbricare il luogo dove credevo poter ritrovare il corpo della Santa».Contro il volere dei sacerdoti e«cogliendo l'opportunità di colui che sonava le campane per lo segno dell'Ave Maria»,entravano furtivamente nel sacro edificio. Il Farace raccontò durante l'interrogatorio, redatto negli"Acta Originalia Inventionis, Extractionis, Recognitionis, Ostensionis et Repositionis Sacrorum Ossium Divae Trophimenae dictae Civitatis Patronae praecipuae, un intus f. 1", che la terza sera di ricerche, arso dalla volontà di ritrovare quella stessa notte il venerato deposito, invitò i suoi compagni a far precedere lo scavo dalla preghiera(«Figliù dicimmici a Litania a Madonnna, ca Nui sta' sera vulimmo trovare la santa Nostra»). Una volta terminata, illuminato, forse, da un'intuizione che sa di rivelazione, indicò un luogo che non era stato oggetto di scavo nelle sere precedenti. Come osserva Angela Maria Lembo nel saggio "Dalla Cattedrale alla Basilica: i Misteri del Secondo Ritrovamento" si trattò di «un punto dell'antico altare che non era stato considerato utile ai fini della ricerca. È necessario sottolineare il termine "antico" perché in esso si trova la soluzione del mistero. In epoche diverse, dunque, erano state edificate, sempre nello stesso punto, tre chiese totalmente differenti tra loro. L'altare originario, quindi, costruito nella prima cappella risultava, rispetto al successivo, decentrato nonostante sorgesse nel medesimo punto.». La Lembo precisa ancora che «il muro della navata, lungo 15 palmi (dove un palmo corrisponde a 25 cm) ossia 3,75 m, conteneva la nicchia con le ossa che era collocata a 5 palmi e mezzo da oriente e a 9 e mezzo da occidente. L'antico altare, invece, era sempre addossato alla stessa parete, ma collocato a palmi 1,25 da oriente e a 2,25 da occidente. Da questi dati diventa chiaro che nella riedificazione l'altare non fu costruito a perpendicolo sulle reliquie, ma decentrato; questo accadeva perché nemmeno i costruttori della Cattedrale conoscevano con precisione il luogo della tumulazione»
I sei devoti lavoratori, dopo aver rimosso un gran numero di pietre si videro avanti una sorta di muro«de' mattoni»posti a chiusura di una nicchia ipogea(si legge di una «cameretta lunga quattro palmi in circa, e larga un palmo e mezzo, alta un palmo in circa»). Dietro questa ve ne erano altre due che furono opportunamente «sfabbricate». Allo smantellamento della terza Angelo Galibardi affermò:«ca ci stanno i fungi». A questo punto il Farace accostò una lucerna al fine di rischiarare quel punto ma quella si spense, riaccesala la accostò nuovamente accorgendosi che«non erano funghi, ma ossa di petto umano»e a gran voce esclamò«chesta è a Santa Nostra»! In quel momento fu colpito da grande tremore e, unitamente ai compagni, udì un suono non udito nelle due notti precedenti. Mosso dalla paura fece chiamare le autorità ecclesiastiche«nelle loro case rispettive il Sacerdote D. Carlo Matteo Palumbo Eddomadario della Cattedrale, ed unitamente con questo (...) il Mag. D. Ferdinando Carretta come Primo Deputato della fabbrica della Chiesa, e di poi il Sig.r Vicario Capitolare D. Giovanni Gambardella»ordinando, poi, di ritornare rispettivamente alla proprie case «a fine di non commuovere tutto il popolo».Erano le 4.30 del 27 Novembre.
Sopraggiunte sul luogo le autorità ecclesiastiche ordinarono che non venisse più toccato quel luogo e che avrebbero tutti dovuto far ritorno alle proprie case ma, in realtà, rimasero tutti in compagnia di Don Carlo Matteo Palumbo:«ci restammo tutta la notte (...) e non ci siamo più partiti di là, e stiamo ancora là».
Le autorità ecclesiastiche e cittadine pregarono il rev. Fra Silvestro Miccù, vescovo di Scala e Ravello (essendo Minori sede vacante dopo la morte di Mons. Andrea Torre) di sopraggiungere sul luogo«essendo ispezione propria de' Vescovi rivedere, esaminare, riconoscere, amovere dal luogo dove sono, autenticare, traslatare le Sacre Reliquie».Mons. Miccù si recò a Minori due giorni dopo, il 29 Novembre, come ricorda il presule, il popolo era in trepida attesa di rivedere le Ossa della Santa. Al suo arrivò si preoccupò di interrogare gli autori del rinvenimento, in primis Farace, e poi di andare egli stesso a constatarein locolo stato delle cose. Si trovò difronte a quanto l'Anonimo Minorese aveva riportato e cioè«che il Sacro Deposito si trovasse sotto tre camerette (...) e riposte su nitidissime pomici».
Il giorno seguente, 30 Novembre, si recò nuovamente sul posto del rinvenimento, in presenza questa volta dei testimoni del ritrovamento che emisero giuramento. Nominò una commissione di«cinque teologi e uomini pii»perché, a fronte delle fonti storiche, verificassero se si trattasse realmente del corpo di S. Trofimena.
Nella loro relazione, datata1° dicembre «ore 14 circa», I domenica di Avvento, attestarono che«Dalla Storia dell'Anonimo abbiamo trovato cinque circostanze (...) le quali così bellamente convengono nel presente negozio (...): il corpo fu tumulato sotto tre camerate mirabilmente costruite; sopra pomici nitidissime; non deve essere integro; è un corpo che appartiene ad una fanciulla tenera; che fu sepolto profondamente».
Come ricorda anche la Lembo, «i periti, inoltre, descrissero tecnicamente lo stile che caratterizzava le pareti dei tre loculi» compensando alcune lacune del racconto del Farace. Nella loro relazione emerge la presenza di «una portellina di tre palmi alta» in stile «Ercolanese (...) su di cui si trovavano scolpite queste lettere MAR -TYR FEC» che potrebbero stare, ad ipotesi dello scrivente, "Martyri feci", letteralmente «(la sott.) costruii alla Martire» più liberamente «costruito per la Martire» , iscrizione simile a molte ritrovate in sepolture dei primi secoli dell'Era Cristiana.
I periti suggellarono il resoconto affermando, anche a fronte di tali considerazioni, che «nessuno di mente sana può dubitare essere di S. Trofimena».Preso atto dei fatti, mons. Miccù non attese altro tempo e alle ore 15 di quel 1° dicembre si recò in Cattedrale e, dopo aver celebrato Messa privatamente nella quale aveva tenuto un sermone penitenziale al popolo, scese insieme con il clero di Minori, Maiori, Ravello e Scala in Cripta. Giunto al loculo intonò ilVeni Creator Spirituse fece prestare giuramento agli «Anatomisti» che«essi optime sapevano riconoscere le ossa umane avanzate dopo 15 secoli e dirne il nome di ciascuna di loro». Le Ossa erano disposte quasi in ordine naturale: non essendo molto distanti il vescovo le estrasse con le sue stesse mani insieme con le pomici superiori su cui erano adagiati i Resti al fine di non perdere centinaia di«frammenti di ossa, che per la piccolezza non potettero essere specificate e numerate dagli Anatomisti».Le reliquie furono adagiate su della morbida ovatta in un urna laminata, dotata nella parte superiore di un vetro affinchè potessero essere viste dai fedeli, e esposti alla pubblica venerazione per l'intera giornata (a sera la cassa fu riposta in un armadio).
Il 2 dicembre si procedette alla Ricognizione canonica che vide all'opera i periti D. Agnello Cantalupo, di Maiori, e D. Serafino Pepe e D. Michele Palumbo di Minori. Questi enumerarono tutte le Ossa e l'elenco da loro redatto fu utilizzato anche nelle ultime due ricognizioni canoniche del 6/4/1968 e del 20/11/1993. Le particelle di materia nera e spugnosa che, a detta dei medici, dovevano essere sangue, furono conservate in un ampolla di vetro di forma cilindrica riposta nell'urna insieme ad un crocifisso, ad un crogiulo con pomici e frammento d'osso (ancora presente oggi nell'urna visibile in cripta), una moneta d'argento del valore di sei carlini (presente ancora oggi nell'urna attuale) ed una in piombo su cui fu incisa la sintesi dell'avvenimento. Fu inserito, inoltre, anche il verbale di ricognizione firmato dai presenti. L'urna, in legno e rivestita internamente di lamine di piombo, avvolta in un panno di seta, fu sigillata subito dopo con quattro diversi sigilli in ceralacca e riposta nell'armadio da cui era stata estratta.
Il 5 dicembre, su richiesta del Vicario Capitolare, si tenne una S. Messa solenne e la processione per le vie della Città. Altro tipo di documenti ci fa supporre che questo momento potesse essere stato accompagnato dal suono delle Zampogne della Famiglia Di Lieto, di cui sia attesta l'attività di Zampognari già dalla metà del secolo. Al rientro in Cattedrale l'Urna fu collocata in un piccolo loculo sotto l'altare maggiore.
Il 12 luglio dell'anno seguente, 1794, l'urna contente le Reliquie della Santa fu traslata nella nuova Cripta, edificata sull'antico altare dove fu rinvenuto il Sacro Deposito, e riposta nel sarcofago mamoreo, tutt'ora visibile, raffigurante la Santa adagiata al suolo con le due giovenche e due angeli nell'atto di porre sul capo una corona sponsale e la palma del martirio. Anche tale operazione fu seguita da Mons. Miccù.
Memori di tali eventi, raccogliamo dalle mani dei nostri padri il fuoco inestinguibile della fede che arse il loro cuore quando, privati del tesoro più prezioso, «come la cerva anela ai corsi d'acqua», dinnanzi ad alcun impedimento fermarono la loro brama di riabbracciare quel «Corpo innocente, striato dal sale». Trofimena ancora oggi «attira a sè» quanti sono lontani dal «Verbo fatto carne». L'urna con le sue reliquie custodita nel cuore della Città è il seme che caduto nel terreno buono porta molto frutto: irradia una luce che rischiara i cuori più oscuri. Come le Vergini Sagge attendiamo lo sposo, certi che non tarderà.
«Sciogliete un cantico eterno al Signore,
che ha voluto rendere forte la Vergine,
per i cui meriti con animo supplice
invocare i premi del cielo. Amen»
(Dall'Inno ai Vespri Iam Te per la traduzione di F. Criscuolo, anno 2013)
*studente di Filosofia presso la Pontificia Università Gregoriana in Roma.
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