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Amalfi, costiera amalfitana, New York

Da Amalfi a New York per inseguire i suoi sogni: l'intervista al chirurgo plastico di fama internazionale Francesco Gargano

Nato in una rinomata famiglia amalfitana con radici nel settore dell’ospitalità di lusso, Francesco sembrava destinato a contribuire alla crescita dell'Hotel Santa Caterina di Amalfi. Dopo aver completato il percorso di studi in lingue, sentiva tuttavia una crescente insoddisfazione e una vocazione interiore che lo spingeva verso un’altra direzione: la medicina.

Inserito da (Redazione il Vescovado Notizie), lunedì 19 agosto 2024 13:04:06

Francesco Gargano è un nome di riferimento che oggi riecheggia nei corridoi del Lenox Hill Hospital di New York e non solo, ma il suo percorso non è stato quello tradizionale che ci si aspetterebbe da un chirurgo plastico di fama internazionale. Nato in una rinomata famiglia amalfitana con radici nel settore dell'ospitalità di lusso, Francesco sembrava destinato a contribuire alla crescita dell'Hotel Santa Caterina di Amalfi. Dopo aver completato il percorso di studi in lingue, sentiva tuttavia una crescente insoddisfazione e una vocazione interiore che lo spingeva verso un'altra direzione: la medicina.

«Volevo aiutare le persone», racconta Gargano, mentre ricorda i momenti in cui questa nuova strada cominciava a prendere forma nella sua mente. «Non avevo le basi formative per intraprendere un percorso medico, ma la mia determinazione era tale da farmi superare tutte le difficoltà».

Nonostante la sua mancanza di preparazione accademica nel campo delle scienze, Gargano riesce a entrare nella prestigiosa Facoltà di Medicina della Sapienza di Roma. I primi due anni sono durissimi, costellati da corsi extra per colmare le lacune e una tenacia che lo porterà a completare i 59 esami necessari in soli cinque anni e una sessione, invece dei sei anni canonici.

La sua vita prende una svolta decisiva a metà degli anni '90, quando incontra Madre Teresa di Calcutta, ricoverata presso il Policlinico Gemelli di Roma. «Trascorsi con lei trenta minuti indimenticabili. Mi tenne la mano per tutto il tempo e mi disse: 'Studia, studia molto, che abbiamo bisogno di buoni medici'. Quelle parole furono per me una fonte di ispirazione inesauribile».

Spinto da quella benedizione, Francesco si specializza in diverse branche della chirurgia plastica, partecipando a "fellowships" che lo portano a perfezionare le sue competenze. Tra le figure fondamentali nel suo percorso vi è il professor Anthony Wolfe, uno dei padri della chirurgia cranio-facciale, che diventa per Gargano un mentore e una guida.

Il passaggio dall'Italia agli Stati Uniti non è stato facile. «La mia sete di conoscenza mi ha spinto a superare tutti gli ostacoli, inclusa la difficoltà di entrare in una scuola di specializzazione americana, dove le possibilità erano inferiori a quelle di vincere alla lotteria - spiega Gargano -. Spesso il mio curriculum troppo qualificato mi ha penalizzato, ma non mi sono mai abbattuto».

Il suo impegno in chirurgia plastica, una disciplina che richiede una profonda conoscenza dell'anatomia e la capacità di risolvere complicanze complesse, lo ha portato a essere un punto di riferimento nel suo campo. «La chirurgia plastica non è solo un intervento, è prevenire le complicanze prima che si verifichino».

Eppure, nonostante le sue straordinarie competenze tecniche, Francesco non ha mai dimenticato le radici della sua famiglia e le lezioni apprese nell'ambiente dell'ospitalità. «Ho imparato a relazionarmi con le persone nell'azienda di famiglia. Che sia un cliente o un paziente, l'approccio è lo stesso: bisogna empatizzare, comprendere le loro esigenze e aspettative».

Oggi, mentre vive e lavora a New York, Francesco Gargano guarda al suo percorso con orgoglio, sapendo di aver risposto alla chiamata della sua vocazione. Una vocazione che lo ha portato a lasciare la sua amata Amalfi per diventare uno dei chirurghi plastici più stimati al mondo, guidato dalla fede e dalla passione per l'aiuto al prossimo.

 

Di seguito l'intervista realizzata da Massimiliano D'Uva al chirurgo plastico.

 

Professor Gargano, la sua storia personale è davvero unica. Da un percorso di studi in lingue e un futuro segnato nell'attività di famiglia, ha deciso di intraprendere la strada della medicina. Cosa l'ha spinta a cambiare direzione?

La mia prima aspirazione era quella di continuare l'attività di famiglia, ma dopo aver completato il percorso di studi in lingue ho sentito forte una sorta di vocazione ad aiutare persone che avessero bisogno. Anche se non avevo le basi formative necessarie, ho deciso di fare il concorso per la Facoltà di Medicina alla Cattolica e alla Sapienza, e sono stato accettato. I primi due anni sono stati durissimi, ho dovuto fare molti corsi extra per sopperire alle mie carenze. Dal terzo anno, la voglia di finire il mio percorso era così grande che ho completato i 59 esami previsti per i sei anni in cinque anni e una sessione.

 

A metà degli anni '90, ha avuto un incontro molto speciale con Madre Teresa di Calcutta. Come ha influenzato questo incontro il suo percorso professionale e personale?

Facevo parte del gruppo di preghiera delle Suore di Misericordia, e ci incontravamo ogni settimana all'alba per la preghiera. Durante un soggiorno a Roma, Madre Teresa fu ricoverata alla Cattolica, presso il Policlinico Gemelli. Sono andato a trovarla e ho trascorso con lei 30 minuti indimenticabili. Mi ha tenuto la mano per tutto il tempo e ricordo nitidamente alcune domande che mi fece. Alla fine mi disse: "Studia, studia molto, che abbiamo bisogno di buoni medici". Quelle parole mi hanno dato la motivazione per proseguire con le "fellowship" e specializzarmi in diverse branche della chirurgia plastica. Dal punto di vista personale, ho ricevuto tantissimo da quell'incontro, in particolare la consapevolezza di vedere negli altri, in chi ha bisogno e nelle persone con cui ci relazioniamo, il messaggio di Cristo.

 

Ha deciso poi di trasferirsi negli Stati Uniti per continuare la sua formazione e carriera. Quali sono state le maggiori difficoltà che ha affrontato in questo passaggio?

Il passaggio dall'Italia agli Stati Uniti è stato impegnativo, soprattutto in termini di studio. Ho dovuto ottenere la US Medical License in un tempo record di due anni e mezzo, mentre stavo ancora specializzandomi a Roma, dove ho fatto otto anni di training in chirurgia plastica, dermatologia e anatomia. La mia tesi fu incentrata sulle nuove tecniche in chirurgia plastica della mammella. Durante il mio percorso, ho avuto l'opportunità di formarmi anche in Inghilterra, presso il Queen Victoria hospital, East Greanstead, West Sussex, UK, fondato da Archibald McIndoe, che considero il miglior luogo al mondo per acquisire le basi della chirurgia plastica.

 

Il suo percorso di formazione è stato molto lungo e complesso. Cosa l'ha motivata a perseverare?

Il mio percorso formativo è durato quasi 17 anni, rispetto ai consueti 5 o 6 anni. Entrare in una scuola di specializzazione americana in chirurgia generale è una sfida immensa, le possibilità di essere ammessi sono minori di quelle di vincere una lotteria. Ho sofferto spesso per il mio stesso curriculum, troppo qualificato per molte posizioni, ma non mi sono mai abbattuto. La mia sete di conoscenza mi ha sempre spinto a continuare a studiare e migliorare le mie competenze, senza mai arrendermi.

 

La chirurgia plastica è un campo spesso frainteso. Può raccontarci come riesce a coniugare l'aspetto estetico con quello medico, in particolare nella chirurgia della mano?

La chirurgia plastica richiede una profonda conoscenza dell'anatomia, più di altre specializzazioni chirurgiche. Non si tratta solo di fare un intervento estetico, ma di saper risolvere complicanze complesse, spesso derivanti da altri interventi chirurgici. Ad esempio, il primo trapianto di rene fu eseguito da un chirurgo plastico, e molte malformazioni urologiche nei bambini vengono trattate da chirurghi plastici pediatrici. La nostra specializzazione non è solo tecnica, ma richiede una profonda comprensione dell'anatomia e la capacità di prevenire le complicanze prima che si verifichino.

 

Lei ha parlato delle difficoltà legate alla sua super qualificazione. Come ha superato questi ostacoli?

È vero, spesso il mio curriculum molto ricco e variegato mi ha penalizzato, specialmente quando cercavo posizioni adatte alla mia formazione. Tuttavia, non mi sono mai abbattuto. Ho sempre cercato nuove opportunità per mettere in pratica le mie conoscenze e per continuare a crescere professionalmente. La mia sete di conoscenza mi ha portato sempre oltre, spingendomi a studiare e a perfezionarmi continuamente.

 

Lei ha radici in una famiglia che opera nel settore dell'ospitalità. Come questa esperienza ha influenzato il suo approccio con i pazienti?

Ho imparato molto sull'interazione con le persone grazie all'esperienza maturata nell'azienda di famiglia. Che si tratti di un cliente o di un paziente, l'approccio è simile. Quando una persona arriva in una struttura, sia essa un hotel o un ospedale, può essere nervosa o stressata. È fondamentale saper empatizzare con loro, comprendere le loro esigenze e aspettative. Questo approccio mi ha aiutato moltissimo nella mia pratica medica, dove l'empatia è essenziale per costruire un rapporto di fiducia con i pazienti.

 

Anthony Wolfe è stato uno dei suoi mentori negli Stati Uniti. Che impatto ha avuto su di lei e sulla sua carriera?

Anthony Wolfe è stato una figura fondamentale per la mia crescita professionale. È stato uno dei padri della chirurgia cranio-facciale e ha tramandato le sue competenze a molti "fellows" come me. Ho avuto la fortuna di apprendere da lui tecniche che hanno cambiato la vita di molti bambini con malformazioni congenite. Wolfe ha creato una vera e propria legacy, e io sono orgoglioso di poter continuare il suo lavoro, migliorandolo e trasmettendolo alle nuove generazioni di chirurghi.

 

Guardando al suo percorso, c'è un momento o un intervento che ricorda come particolarmente significativo?

Ci sono stati molti momenti significativi, ma se dovessi sceglierne uno, direi che è stato l'incontro con Madre Teresa di Calcutta. Quella breve conversazione ha avuto un impatto profondo su di me, non solo dal punto di vista professionale, ma anche personale. Le sue parole mi hanno accompagnato in ogni decisione e mi hanno motivato a dare il massimo per diventare un medico capace di fare la differenza nella vita degli altri.

 

Cosa consiglierebbe ai giovani che si trovano a un bivio nella loro vita professionale e che magari sentono di voler cambiare radicalmente strada come ha fatto lei?

Il mio consiglio è di seguire sempre la propria vocazione, anche quando sembra che il percorso sia irto di difficoltà. Se sentite dentro di voi il desiderio di fare qualcosa di diverso, non abbiate paura di cambiare strada. La determinazione e la passione possono portarvi lontano, anche quando tutto sembra andare contro di voi. Non abbiate paura di fallire; ogni ostacolo superato è un passo in più verso il vostro obiettivo.

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