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Tu sei qui: Storia e StorieNelle stanze di Villa Episcopio a Ravello: l'agonia della monarchia sabauda

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Storia e Storie

Storia, Storie, Ravello, Villa Episcopio, Costiera Amalfitana, Monarchia, Repubblica, referendum, 2 giugno

Nelle stanze di Villa Episcopio a Ravello: l'agonia della monarchia sabauda

Proprio a Ravello, in Costiera Amalfitana, si consumò l’agonia della monarchia sabauda, sfociata nel referendum del 2 giugno 1946.

Inserito da (Admin), venerdì 2 giugno 2023 13:48:05

di Sigismondo Nastri - Nelle sontuose stanze di Villa Episcopio a Ravello, antica sede vescovile, acquistata poi dalla Regione per destinarla ad attività culturali, si consumò l'agonia della monarchia sabauda, sfociata nel referendum del 2 giugno 1946.

Il re Vittorio Emanuele III, proveniente da Brindisi, vi giunse il 14 febbraio 1944, insieme con la famiglia. Villa Episcopio era all'epoca di proprietà del duca Riccardo di Sangro. Il paese della Costiera cominciò registrare il via vai dei rappresentanti dei vari partiti democratici aderenti al Comitato di liberazione nazionale. Al Congresso tenutosi a Bari, Benedetto Croce aveva dichiarato: «Fin tanto che rimane a capo dello Stato la persona del presente re, noi sentiamo che il fascismo non è finito, che esso ci rimane attaccato addosso, che continua a corromperci ed infiacchirci, che risorgerà più o meno camuffato». Si chiedeva non solo l'abdicazione di Vittorio Emanuele III, ma anche la rinuncia del principe Umberto. Lo stesso Enrico De Nicola, personaggio di sicura fede monarchica - anche se il destino lo volle poi presidente della repubblica -, cercava di convincerlo, tirando in causa la "responsabilità obiettiva". Il sovrano che dichiara una guerra e la perde - sosteneva - deve lasciare il trono. E citava i precedenti storici di Napoleone I, Napoleone II, degli Asburgo e degli Hoenzollern. Il re tergiversava.

In quei giorni ricevette la visita dei rappresentanti dei governi alleati, l'inglese Harold MacMillan e lo statunitense Robert Murphy. Quest'ultimo insistette sulla necessità che abbandonasse il trono in quanto, agli occhi degli americani, la sua figura era associata al fascismo. Vittorio Emanuele III, infastidito, li licenziò in maniera alquanto brusca.Il 14 marzo, era martedì, convocò a Villa Episcopio il maresciallo Pietro Badoglio e i suoi ministri (il governo, insediatosi a Salerno, aveva prestato giuramento a Ravello il 17 febbraio). Racconta Epicarmo Corbino nelle sue memorie: «Mentre eravamo tutti riuniti, il re ci informò che, fino a quando le truppe alleate non fossero entrate a Roma, non ci sarebbe stato nessun mutamento nella situazione del sovrano; ma in linea riservatissima aggiunse che solo in quel momento egli avrebbe nominato il principe Umberto suo luogotenente generale». A De Nicola pose una condizione: questo doveva avvenire non prima dell'entrata degli alleati a Roma. De Nicola, nei suoi appunti, scrisse: «Compresi la ragione della condizione: il re era partito da Roma come re e voleva ritornare in Roma come re».Toccò a Badoglio, in un incontro svoltosi a Villa Cimbrone, di convincere gli anglo-americani ad accettare la decisione, per senso di umanità verso un uomo di 75 anni che, «se aveva avuto delle colpe, aveva anche il merito di aver dimesso Mussolini, di aver chiesto l'armistizio, di essersi schierato lealmente con gli Alleati».

Da quel giorno - sottolinea Antonio Spinosa nel suo libro Vittorio Emanuele III, l'astuzia di un re - il sovrano non indossò più l'uniforme.E fu proprio a Ravello, mentre Roma veniva liberata dalle truppe alleate, che si consumò l'atto forse determinante per la fine della monarchia in Italia: il conferimento della luogotenenza a Umberto (divenuto poi re, per un mese, con l'abdicazione paterna del 9 maggio 1946). Il documento fu sottoscritto proprio a Villa Episcopio. Così Spinosa rievoca quell'evento: «Fu una cerimonia scarna, ma degna d'un Parsifal per intensità e per la suggestione dei luoghi prediletti da Wagner. Pieno di amarezza, salutando sulla soglia della villa il figlio che partiva per la capitale, Vittorio esclamò: "Va', divertiti tu, ora"». Il vecchio sovrano, con la famiglia, lasciò la cittadina della costa e si trasferì a Villa Rosebery, a Posillipo. Vi rimase, però, solo qualche giorno. L'arrivo del re d'Inghilterra, Giorgio VI, per un'ispezione al fronte italiano, lo costrinse a sloggiare. Gli alleati non volevano che i due si incontrassero. Vittorio Emanuele si rifiutò di tornare a Ravello. Accettò, invece, di trasferirsi a Raito, ospite dell'ambasciatore Raffaele Guariglia, divenuto nel frattempo ministro degli Esteri. «La villa - ricorda Spinosa - era a picco sul mare. Da un balcone il re, rattristato e avvilito, fissava l'abisso. Ne sentiva l'attrazione. A una persona amica che gli era accanto disse, con voce sommessa: "Se io saltassi da questa roccia..."». Per fortuna non lo fece. Intanto la storia proseguiva, inesorabile, il suo corso.

© Sigismondo Nastri, da mondosigi, 7.6.2007

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