Tu sei qui: Storia e StorieMaiori. Sono passati 36 anni dal crollo di Palazzo D'Amato, il racconto di Sigismondo Nastri /foto /video
Inserito da (Admin), venerdì 28 giugno 2024 07:08:05
Trentasei anni fa, il 27 giugno 1988, Maiori fu teatro di un tragico evento che sconvolse la comunità locale: il crollo di un'ala del Palazzo D'Amato, causato da un incendio di natura dolosa. Sigismondo Nastri, giornalista di lunga data e decano dell'informazione in Costiera Amalfitana, ricorda ancora vividamente quel giorno.
Nastri, residente allora in Parco Cocomero, fu svegliato dalla notizia del disastro e si recò immediatamente sul posto. Ignorando i rischi, si arrampicò sulle macerie con la sua Polaroid, scattando foto cruciali, tra cui il cadavere di uno degli attentatori e le taniche di benzina utilizzate per l'incendio. Nonostante le minacce del colonnello dei carabinieri di denuncia e sequestro delle immagini, Nastri riuscì a proteggere le foto, che furono poi pubblicate sul Giornale di Napoli, sebbene quella del cadavere fosse ritenuta troppo cruenta per la stampa.
Il racconto di Nastri non si limita alla mera cronaca dell'evento, ma rivela anche la determinazione e il coraggio necessari per documentare la verità. In costante contatto con Umberto Belpedio, capo della redazione salernitana, Nastri riuscì a inviare il servizio e le foto in tempo per un'edizione straordinaria del giornale, distribuita a Maiori nella stessa mattinata.
Nastri ricorda come seguì la vicenda nei giorni successivi insieme a Eduardo Scotti, inviato speciale del quotidiano. La loro indagine giornalistica non si fermò alla cronaca dei fatti, ma si spinse oltre, investigando le cause e le responsabilità del crollo. Questo lavoro di inchiesta ha rappresentato un esempio di giornalismo rigoroso e dedito alla verità.
L'incidente del Palazzo D'Amato rimane una ferita aperta per la comunità di Maiori. Grazie alla testimonianza e al lavoro di giornalisti come Sigismondo Nastri, questa storia continua a vivere nella memoria collettiva, ricordando a tutti l'importanza della verità e della giustizia.
Qui di seguito il post, pubblicato poche ore fa, dal profilo Facebook del giornalista amalfitano di nascita ma maiorese di adozione:
"Era il 27 giugno 1988. A trentasei anni di distanzaricordo ancora, nitidamente, quella brutta storia che sconvolse la vita degli abitanti di Maiori: il crollo di un'ala del palazzo D'Amato, al corso Reginna, che provocò sei vittime innocenti tra gli abitanti dello storico edificio, uno dei più belli della cittadina. Vi rimasero uccisi anche i due malfattori che, per mettere in atto una truffa a una compagnia di assicurazione, avevano appicato il fuoco in un negozio di abbigliamento. Successe prima dell'alba. Abitavo al parco Cocomero, in viale Capone. Ne fui immediatamente informato. Arrivai di corsa sul luogo della tragedia. E senza neppure pensarci su, sottraendomi a ogni controllo, riuscii ad arrampicarmi sulle macerie. Avevo una Polaroid, scattai delle foto. Due di esse particolarmente significative: il cadavere di uno degli attentatori, che emergeva dalla massa di pietre e calcinacci, e le taniche dalle quali era stata versata la benzina, causa dello scoppio. In costante contatto - non facile, perché all'epoca non c'erano i cellulari - con Umberto Belpedio, capo della redazione salernitana del Giornale di Napoli, che coordinava il mio lavoro.Telefonai subito il servizio, mandai a mano le foto affidandole a un autista della Sita. Nella stessa mattinata - per decisione del direttore Antonio Sasso - il giornale uscì in edizione straordinaria e fu distribuito anche a Maiori. Quando entrarono in azione i carabinieri il colonnello che dirigeva le operazioni, informato della mia intrusione, minacciò di denunciarmi se avessi pubblicato le foto, dato che riprendevano corpi di reato non ancora repertati e sottoposti ad esame. Io m'ero spostato intanto su un terrazzo che s'affacciava sulle rovine per seguire le operazioni della Scientifica. Riuscii a riprendere anche il momento in cui fu aperta la valigetta con gli strumenti di lavoro. Il colonnello mandò da me due carabinieri che volevano sequestrarmi le foto. Intanto le avevo già messe al sicuro, nella tasca della giacca di un amico. Avvertii Umberto. Mi disse che le avrebbe comunque pubblicate. E mi tranquillizzò: stavamo compiendo il nostro dovere di giornalisti. L'indomani uscirono (tranne quella del cadavere, troppo cruenta. È conservata nel mio archivio). Continuai a seguire la vicenda nei giorni successivi insieme con Eduardo Scotti, inviato speciale del quotidiano. Facemmo, insieme, giornalismo vero: di informazione - precisa, corretta, completa -, ma anche d'inchiesta."
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