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Storia e Storie

Le tracce storiche delle chiese dedicate a San Nicola a Ravello

Il culto di San Nicola a Ravello

L’Archivio Vescovile di Ravello conserva preziosi documenti che testimoniano la presenza di numerose chiese dedicate a San Nicola da Myra sul territorio dell’antica diocesi. Molti di questi edifici, nati tra il XIII e il XVII secolo come cappelle rurali o gentilizie, sono scomparsi nel tempo, lasciando solo tracce documentarie e memorie storiche. Dalla chiesa di San Nicola al Toro a quella di Monte Brusara, fino agli edifici di Marmorata e Càrpino, il patrimonio architettonico e religioso legato al santo vescovo di Myra rappresenta un importante messaggio culturale da tramandare e valorizzare

Inserito da Luigi Buonocore (redazionelda), domenica 6 dicembre 2015 07:40:09

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di Luigi Buonocore

L'Archivio Vescovile di Ravello conserva preziose testimonianze che attestano la presenza di chiese elevate in onore di San Nicola da Myra sull'intero territorio dell'antica diocesi. I riferimenti documentari sono molto frequenti fino al secolo XVII quando, in un clima di generale degrado, questi edifici, assimilabili a cappelle gentilizie o a piccole chiese dal carattere spiccatamente rurale, subiscono un inarrestabile declino che ne ha cancellato le tracce ma non la memoria storica. Nel 1348 il legato pontificio Beltrando, cardinale del titolo di San Marco, accoglieva la richiesta formulata da Giovanni de Fusco, desideroso di edificare una chiesa in onore di San Nicola e concedeva «in perpetuum» al nobile ravellese e ai suoi eredi il patronato su di essa.

Così Giovanni fondò «per sé e per i suoi eredi di genere maschile» la chiesa di San Nicola al Toro ubicata presso il portico della casa di famiglia che si ergeva nel rione più antico della città. La cappella ad un solo altare era dotata di numerose rendite provenienti da una masseria di Salerno e da una proprietà in Olevano in cui si producevano frumento ed olio. Agli inizi del Seicento l'edificio versava in condizioni di degrado su cui non poco dovette incidere una lite pendente tra Ferdinando Confalone e Giovanni Andrea de Fusco e nel 1665 appariva ormai diruto agli occhi del vicario vescovile Antonio Cau de Panicolis.

Altra chiesa è attestata sin da 1222 sul Monte Brusara, in una zona caratterizzata da case rurali, ricca di selve e di castagneti. La chiesa, già impostata sul consolidato schema delle tre navate, a causa dello stato rovinoso in cui versava fu successivamente ridotta ad aula unica con un nuovo altare edificato in onore di San Nicola.

Le rendite provenivano da possedimenti di carattere agricolo consistenti in vigneti, situati in quel luogo e nei pressi della chiesa di Sant'Andrea del Pendolo, in selve e castagneti che si estendevano nel luogo denominato «a la posa dello vescovo», lungo la via pubblica nei pressi delle mura della città. L'edificio, a cui era stata unita la cappella di San Leone Papa in località Aqua Sambucana, fu poi annesso alla parrocchia di San Martino, come testimonia un dipinto, oggi conservato nella cappella feriale del Duomo, in cui è presente la Vergine Maria tra il santi vescovi Martino e Nicola. Sul versante orientale della Città, nelle vicinanze della parrocchia di Santa Croce, sorse la chiesa di San Nicola a Càrpino, località così denominata per la presenza di querce e lecci.

Alla fine del sec. XVI questa cappella senza cura d'anime veniva amministrata dal chierico napoletano Cesare de Manso, assente in occasione della visita pastorale del 1577 in quanto ammalato e «multo gibosus» (gobbo). La chiesa, quasi crollata, con un altare spoglio e addirittura priva di porta, si trovava quindi in uno stato di profondo degrado e sarebbe diventata a breve una rovina. Ragione per la quale mons. Fusco ordinò al beneficiato di ripristinare immediatamente la porta d'ingresso e di riparare la chiesa entro un anno. Nell'impossibilità di accertare l'effettiva esecuzione dei lavori di riparazione ci limitiamo a constatare che nel 1606 la cappella, sudicia e in condizioni pietose, veniva addirittura utilizzata come deposito di legname prima di essere definitivamente sconsacrata nel 1612.

A Marmorata, contraddistinta da terrazzamenti coltivati a uliveti vigneti e canneti, sorse invece la chiesa di San Nicola a Bivàro, fondata secondo il Camera nel corso del XI secolo dal sacerdote Giovanni Orso da Nola e menzionata in atto di compravendita del 1209 in relazione ad alcuni appezzamenti di terreno di cui si indicano i confini. Nel 1577 l'edificio, costruito lungo la via che portava all'attracco portuale di Marmorata, era senza cura d'anime e privo di beni mobili.

Lo stato di conservazione imponeva al beneficiato, l'arcidiacono Angelo Antonio Mansi, di provvedere agli interventi di riparazione che potevano essere eseguiti «facilissime e sine multo fastidio» entro quindici mesi. Il Mansi avrebbe dovuto far realizzare le porte, ripristinare l'astraco superiore e dotare la chiesa di una icona conveniente in modo tale da poter celebrare degnamente la messa nella festa del santo.

Il discorso andrebbe esteso ai numerosi altari eretti nelle varie chiese di Ravello (due dipinti raffiguranti San Nicola già a San Giovanni del Toro sono custoditi presso la sezione pittorica del Museo del Duomo) ma preferisco limitare il discorso al patrimonio ormai immateriale costituito da chiese sconosciute e da opere ormai distrutte legate a quelle generazioni che nel nome del santo vescovo di Myra ci hanno consegnato uno straordinario di messaggio culturale da trasmettere e rivitalizzare.

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