Tu sei qui: Racconti d'aMareIl “Piano Nautico” del Porto di Amalfi nel 1964
Inserito da (Redazione il Vescovado Notizie), lunedì 21 ottobre 2024 09:29:43
Di Salvatore Barra, Capitano Superiore di Lungo Corso
Sul libro di geografia di prima media (1970), nel capitolo dedicato alla regione Campania, vi era una foto grande a mezza pagina, dal titolo "Il glorioso porto di Amalfi". Probabilmente l'autore si riferiva al periodo della Repubblica, ignorando che il porto a quei tempi non esisteva e che la sua costruzione era cominciata alla fine dell'800, in epoca relativamente recente. Tuttavia, l'autore del libro, se avesse intitolato la foto la "Gloriosa rada di Amalfi", certamente non avrebbe sbagliato, essendo stato uno specchio di mare testimone di innumerevoli (e decisivi) episodi che hanno caratterizzato la vita della cittadina, e non solo, nel corso dei secoli.
Basti pensare alla grande abilità dei navigatori amalfitani, ai tempi della Repubblica, che da Amalfi partivano per terre lontane, avendo come base un'altra struttura portuale che probabilmente andò distrutta e sommersa, assieme ad altre zone del litorale cittadino, dalla grande tempesta del 1346, descritta anche dal Petrarca, che mise in ginocchio l'economia del Ducato amalfitano. Certamente Flavio Gioia (o chi per esso) partiva dalla rada amalfitana per sperimentare la Bussola, lo strumento magnetico che stava perfezionando per gli usi della navigazione, che avrebbe permesso ai Protontini Amalfitani di raggiungere porti lontani in minor tempo ed eludendo eventuali attacchi di pirati che non avevano la possibilità di navigare lontano dalla costa.
A proposito di Flavio Gioia:
1) recentemente, il 13 ottobre 2024, si è svolta a Genova la regata delle antiche repubbliche italiane. La data fu scelta in concomitanza con i festeggiamenti che la città di Genova riserva periodicamente, in prossimità del 12 ottobre, al grande navigatore Cristoforo Colombo per celebrare "La scoperta" dell'America. Per questa impresa, un recente studio ha considerato il grande navigatore il terzo uomo più influente della storia universale. Prima di lui, in classifica, solo Gesù Cristo e Maometto (al quarto posto Giulio Cesare). Eppure, la grande impresa di Colombo fu possibile solo ed esclusivamente per mezzo della Bussola Magnetica perfezionata dagli amalfitani. Senza la bussola Colombo non sarebbe potuto andare da nessuna parte. Per il nostro Flavio, invece, nemmeno "una menzione speciale" che avrebbe meritato certamente.
2) La città di origine di Colombo, ancora non è stata mai dichiarata sicura al cento per cento. A contendersi questo primato, oltre la città di Genova (la più probabile), anche alcune città spagnole, portoghesi e italiane (almeno 8). Genova intanto continua a celebrare il grande navigatore. Ad Amalfi invece, dopo alcune contestazioni "storiche" sull'esistenza e sul mito di Flavio Gioia, è calato il silenzio, nonostante non ci fosse una prova della "non esistenza", nonostante la (quasi) certezza che l'importantissimo strumento di navigazione sia nato nell'area della repubblica amalfitana. Al punto che ho avuto l'impressione che addirittura qualche amalfitano "illustre" si vergogni dell'illustre avo, al punto che attualmente il famoso monumento a Flavio Gioia - senza lapide commemorativa - è posto in bella evidenza, nell'omonima piazza, anche essa mancante di una lapide indicante il nome della piazza. Spero che gli amalfitani prendano esempio da Genova, che imperterrita continua a omaggiare il grande navigatore, nonostante tutto.
Quello specchio di mare fu testimone dell'attacco della grande flotta turca, comandata dall'Ammiraglio Ariadeno Barbarossa, alle città di Amalfi e Salerno, che, secondo tradizione, avvenne il 27 giugno 1544. Il tentativo di invasione fallì perché Sant'Andrea, Santo Protettore di Amalfi, accorse in protezione della città in pericolo: «.... ma allorché a' 27 giugno 1544 la flotta barbaresca tentò avvicinarvisi, il soccorso dell'apostolo con sommo prodigio accorse in difesa; e mentre in quel solstizio dell'està sereno era il giorno ed il mare lieto e tranquillo, suscitasi fiera ed orribile tempesta. Nelle dense nuvole mugge orribilmente il tuono, succede dirotta pioggia, e sterminati cavalloni avvolgendo da per ogni lato le navi barbaresche l'una contro l'altra urtandosi e disperdendosi son poste tutte nel più orribile disordine», come riporta lo storico Matteo Camera nella sua "Istoria della Città e Costiera di Amalfi".
In seguito a quella tempesta, affondarono tutte le navi della flotta turca, eccetto quella dell'Ammiraglio Barbarossa, "miracolato" da Sant'Andrea, per poter portare in patria la notizia del naufragio. Nel Museo Diocesano e nella Basilica del Crocifisso ad Amalfi, è esposta una falca del fasciame di poppa di una nave turca naufragata - raccolta e conservata per secoli dalla nobile famiglia Proto di Amalfi e successivamente donata al museo. Ovviamente, nella città di Salerno, anch'essa scampata all'attacco turco del 27 giugno 1544, il miracolo è attribuito al Santo Patrono Matteo: "Salerno è mia: io la difendo", come è riportato sul panno che si espone prima della festa patronale di Salerno. Evidentemente, i due apostoli, Matteo ed Andrea, ebbero un consulto e si coalizzarono per salvare le due città a loro affidate e custodi delle loro spoglie mortali.
Lungo il litorale amalfitano era molto attiva la pesca del tonno, che si effettuava con reti da posta: le cosiddette tonnare. In Costa d'Amalfi vi erano sei tonnare attive, di cui una chiamata "Di Santa Croce" e l'altra, la più famosa, "Tonnara di Conca dei Marini" (altre importanti Erchie e Praiano). Della Tonnara di Amalfi/Santa Croce si hanno notizie delle carte più antiche, che risalgono al 1461. L'ultima tonnara è stata quella di Conca dei Marini, attiva fino agli anni '50 del secolo scorso. Di essa, una delle poche testimonianze rimaste è il ristorante "La Tonnarella" ubicato sulla spiaggia di Conca dei Marini, i cui locali venivano utilizzati per appendere i tonni più grandi, per farli spurgare. Questo pesce era considerato alimentarmente come un maiale, e come tale, le sue carni venivano consumate prima fresche e poi salate, sotto olio. La pesca del tonno era molto proficua e coinvolgeva centinaia di persone, tra pescatori, addetti alla logistica, organizzatori, rigattieri, trasportatori, diversi tipi di barche per la pesca, ampie spiagge per deporre le reti e grandi magazzini per il ricovero delle stesse. Il periodo della pesca al tonno andava da aprile a ottobre. Maggio, giugno e luglio, in concomitanza col passaggio dei pesci, erano i mesi più pescosi. Di questa attività - così importante nel recente passato - si è (quasi) persa la memoria storica.
Sempre dalla rada di Amalfi partivano gozzi, barche da pesca, piccole navi a vela per il trasporto merci e passeggeri nelle città vicine; alcune si spingevano fino in Calabria e Sicilia, altre fino a Napoli o più al Nord. Nella stessa (rada) si svolsero le cerimonie di consegna delle bandiere di combattimento alle navi della Marina Militare: 1889 al Regio Incrociatore "Flavio Gioia" - 1913 al Regio Incrociatore "Amalfi" 1 - 1956 alla Corvetta "Alcione" - 1967 alla Motocannoniera "Saetta". Lo svolgimento della Regata delle Repubbliche Marinare, a partire dal 1956, ogni 4 anni.
Fatta questa "piccola" premessa, comprenderete maggiormente la mia piacevole sorpresa quando, inaspettatamente, mentre vivevo una situazione di estremo disagio su di una nave con mare in burrasca, trovai la carta nautica del porto di Amalfi, basata su rilievi idrografici del 1964. Una storia da vivere.
Correva l'anno 2002 ed ero imbarcato sulla MSC Marina, un vecchio cargo di 33 anni di (onorato) servizio. La nave aveva seri problemi alle strutture e ai motori, con costi di gestione molto alti e non più commercialmente competitiva. Il premio assicurativo era anch'esso molto costoso. La compagnia decise di radiare la nave e di mandarla allo scasso. La notizia ci giunse mentre eravamo in sosta nel porto sudafricano di Durban.
Così, il 4 di giugno del 2002 mollammo i cavi di ormeggio per l'ultima volta dalla banchina del porto di Durban e la nave partì per un viaggio "di solo andata": destinazione spiaggia di Alang (India occidentale), dove le navi si portano ad arenare, prima di essere demolite. Sulla spiaggia avremmo trovato altre centinaia di navi in fase di demolizione. Un vero e proprio cimitero per navi. La MSC Marina, 8425 tonnellate di stazza lorda, lunga 146 metri, larga 19 e capace di trasportare fino a 350 containers, era la più piccola della flotta.
Da Durban partimmo completamente scarichi, con la zavorra e con il minimo quantitativo di carburante per arrivare a destinazione. Le condizioni di partenza non erano ottimali, perché la nave troppo leggera avrebbe sofferto l'intensa azione del vento e della forza del mare dei monsoni, particolarmente attivi nell'Oceano Indiano nei mesi di giugno, luglio ed agosto. Sabato otto giugno 2002, eravamo in navigazione, in prossimità delle Isole Comore, il mare era liscio come l'olio. Nel pomeriggio assistemmo alla partita di coppa del mondo tra l'Italia (di Trapattoni) e la Croazia. Purtroppo, per noi, vinse la Croazia 2-1. Due giorni dopo, fuori dal Canale del Mozambico, eravamo in mare aperto e seguivamo rotta per nord-nord-est. Man mano il vento aumentava di intensità, gonfiando le onde, fino a farle divenire "montagnose" da sud-ovest, impattando il nostro scafo con violenza, in prossimità del quarto di poppa a sinistra o "giardinetto di poppa" come si definisce in gergo marinaresco. Il "mare a giardinetto" provocava rapidi ed ampi movimenti di rollio. Procedere in quelle condizioni era una sofferenza continua, provocava stress, preoccupazioni e trepidazioni in ognuno di noi. Fu un viaggio brutto e tormentato dalle continue tempeste. Sulla nave non c'era più niente che rimanesse in piedi; le sedie volavano letteralmente; i mobili erano divelti o schiodati dalle paratie. La notte si dormiva pochissimo e male, solo per stanchezza. Il vitto ancora peggio: il cuoco riusciva appena a preparare qualche panino. Ogni tentativo di cucinare un piatto caldo falliva miseramente.
Poi un giorno, uno di quei 10 giorni di continua sofferenza, il mobile a cassettiera della sala nautica, ove erano riposte le carte nautiche, si scardinò dall'intelaiatura e si sbriciolò in tanti listelli di legno. Le carte nautiche e quel che rimaneva del mobile invasero la sala nautica e scorrevano lungo il pavimento del ponte di comando, seguendo l'andamento dei bruschi movimenti di rollio della nave.
Tra le carte nautiche, una, che mai avevo visto prima, attirò la mia attenzione; era intitolata "Porti minori della Campania", divisa in quattro parti, contenenti i piani nautici dei porti di Salerno, Castellammare di Stabia, Torre Annunziata e, con mio grande stupore, Amalfi. Ritagliai la cartina del porto di Amalfi e la misi al sicuro. Ero al settimo cielo per la felicità e, per un attimo, mi estraniai da tutto. "Porto di Amalfi", 1964. Come immerso in una macchina del tempo, osservando quella cartina, nella mia mente riemersero i ricordi, mai sopiti, della mia infanzia negli anni ‘60: la ghiacciaia di Don Ciro, che continuava a fornire il ghiaccio ai pescatori, imbarcazioni da diporto e ai tanti cittadini non possessori di frigo a casa, posta in un'arcata della Marina Grande che si stava trasformando in bar, l'odierno "Beach Bar".
L'attuale "Viale della Regione" (1971) - sulla carta è indicato come "Via Flavio Gioia" e successivamente rinominato "Corso Roma" - il corso potrebbero rinominarlo innumerevoli volte, ma per gli amalfitani si è sempre chiamato e sempre si chiamerà "'O Stradone"; l'attuale ristorante "Terminal" indicato come dogana sulla carta e come viene chiamata ancora oggi quella zona di Amalfi "Duana"; la piazza Flavio Gioia più piccola delle attuali dimensioni; la darsena ed il molo ancora non esistevano. Amalfi negli anni '60, rispetto ad ora, era una cittadina tranquilla e vivibile, nel piazzale del porto giocavamo a calcetto, malgrado le invettive di Don Salvatore ò Smeraldino da un lato e le incursioni di Alì, il cane dell'Ingegnere Carrano, dall'altro: entrambi a caccia del pallone da distruggere. Durante l'estate del 1964, ero sulla spiaggia e osservai, sorpreso, che qualcuna stava consumando qualcosa da una busta di plastica, chiesi a mia madre, la quale mi rispose: "sta mangiando le Patatine Pai dalla busta"... ma io lo stesso non capii. L'era della plastica era appena cominciata.
Amalfi allora era il paradiso in terra, senza problemi di traffico e le spiagge accessibili e dal mare cristallino. Le case si fittavano (o compravano) a buon prezzo: la povertà del tempo rendeva le persone maggiormente solidali, genuine ed umane; quando una persona, o una famiglia, attraversavano momenti di difficoltà, si mobilitava l'intero quartiere per aiutare. All'imbrunire, i vicinati si riunivano nei cortili, seduti su sedie o sulle scale, e si lasciavano andare a piacevoli "inciuci".
I giovani dei vari quartieri di Amalfi erano organizzati in "bande" rionali (famosa quella di Valle dei Mulini), a volte in conflitto tra loro, erano seguiti anche dai fratellini, per cui fin dalla tenera età si poteva andare per strada senza pericoli. I ragazzi vivevano prevalentemente in strada e giocavano "giochi di società" ormai estinti, come "L'uno in punt al'uno" - "E' cotta" - "'O palmo" (gioco con monetine) - "'O scuoppo" (gioco con le figurine dei calciatori) - "La Bandiera" (a squadre, a chi pigliava prima il fazzoletto che reggeva un ragazzo al centro) - "Mosco cieca" - "La peste" - "Nascondino"... Le bimbe giocavano prevalentemente al gioco della campana.
Ho tanta nostalgia di quegli anni e sono felice di averli vissuti intensamente, sicuro che quell'Amalfi degli anni '60 e '70 mai più ritornerà. Destinata a rimanere solo un piacevole ricordo di gioventù, per me e per quelli che hanno avuto la fortuna di viverla. Come me!
Prendendo spunto da una carta nautica, penso di essermi un po' lasciato andare e di essere andato "fuori tema" parecchie volte. Considerateli come pensieri in libertà.
Saluti dal porto di Singapore.
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