Tu sei qui: Eventi e Spettacoli“Le Malaparte impossibili” di Cherubino Gambardella
Inserito da (redazionelda), sabato 18 novembre 2017 17:27:39
di Paolo Spirito
"Il giorno che mi sono messo a costruire una casa, non credevo che avrei disegnato un ritratto di me stesso. Il migliore di quanti non abbia disegnati finora in letteratura (..) non m'era mai avvenuto di mostrare quale io sono, come quando mi sono provato a costruire una casa (..) Non mattoni, non cemento, ma pietra, soltanto pietra".
Così scriveva Curzio Malaparte(Kurt Erich Suckert1898-1957) della sua villa caprese di Punta Massullo, tra i più discussi e studiati esempi di architettura razionalista in Italia e in Europa, forse l'opera che meglio interpreta e sublima lo stile dell'Arcitaliano (casa come me), di cui quest'anno si celebrano i cento anni dalla morte.
La Casa che Malaparte costruisce per sé a Capri tra il 1937 e il 1940 è una delle storie più intriganti e affascinanti della cultura moderna italiana ed europea. Ammorsata sulla Punta Masullo, felina in attesa di azzannare la preda, questa Sfinge che guarda ipnotica il Mediterraneo è una delle icone imperfette dell'architettura moderna del 900. Voluta fortemente dallo scrittore toscano che convince Ciano e Bottai a coprire quello che è un vero abuso sulle coste protette dell'isola. Attribuita all'architetto razionalista Libera senza che questi abbia mai vantato con piacere la paternità. Costruita pietra su pietra dal capomastro caprese Adolfo Amitrano.
Casa Malaparte è un mistero seduttivo e una magnifica, silente ossessione per decine di grandi architetti che negli ultimi decenni sono giunti in silenzio ai suoi piedi e l'hanno ascoltata e disegnata con amore. L'ultimo di questa famiglia è sicuramente Cherubino Gambardella: architetto napoletano, polemista, sperimentatore che ci ha appena regalato un volume prezioso "Le Malaparte impossibili", edito da Letteraventidue. Un libro eretico perché esegesi attenta del manufatto, racconto dei tanti che l'hanno adorata sottovoce ma anche ricerca libera sul corpo dell'architettura, invitando molti autori contemporanei e studenti a usarla come un tavolo anatomico su cui operare liberamente.
La verità non dice mai nulla. La verosimiglianza aggiunge l'immaginario. Un libro verosimile sulla vita sognata di una delle più famose case del mondo-la cui foto fu riprodotta sul manifesto ufficiale del Festival del Cinema di Cannes del 2016-questo di Cherubino Gambardella: la casa di Curzio Malaparte a Capri è il centro di un fitto racconto illustrato, un pretesto per generare mille altre architetture. Tra verità, interpretazione e falsificazione prova ad aprire un modo inedito per parlare di tanti misteri custoditi in un della luogo.
Attraversata da amici, artisti, amanti, scrittori, politici fino alla morte di questo ex-fascista, ex-comunista che lascia in eredità la villa al governo della Repubblica Popolare Cinese, creando un periodo di vuoto che vede questo manufatto rosso mattone diventare un fantasma votato al mito.
I disegni che si assommano, di John Hejduk, Carmelo Baglivo, Stefano Boeri, Francesco Venezia, Franco Purini, Han Tumertekin, Pippo Ciorra, Aristide Antonas, Giancarlo Mazzanti, Bernard Khoury e dello stesso Gambardella, ci dicono che nessuna icona sfugge al suo destino e che deve continuare a nutrire il nostro immaginario superando inutili musealizzazioni. La nostra Storia migliore deve aiutarci a generare futuro, sta solo a noi non finire vittime dell'ipnotismo nostalgico della Sfinge.
Decine di architetti negli ultimi decenni l'hanno disegnata e ascoltata. Afferma lo stesso Gambardella: "E' passato tanto tempo ormai. Il tempo però ha il pregio di consolidare passioni e ossessioni rendendole sempre vive. Trascorro da quando sono nato le mie vacanze a Capri e, da piccolo, mio padre, anche lui architetto, lasciandomi osservare una casa rossa dalla sagoma singolare tra la Grotta Bianca e i Faraglioni, mi disse: vedi quella è la residenza di un famoso scrittore. Quando decisi di studiare architettura imparai che era una delle più famose dimore del Novecento. Mi colpiva il fatto che nessuno dei critici, degli storici e dei famosi architetti che l'avevano studiata, l'avesse rimessa realmente in gioco. Tutti la guardavano e l'analizzavano ammirati come se fosse un alieno di alabastro. Insomma, un totem, un'icona congelata nella sua stessa aura leggendaria e imprendibile. Quando Andrea Palladio aveva costruito e disegnato nel suo trattato Villa Capra, la Rotonda, ne aveva fatto un'icona meticcia. Inigo Jones, Thomas Jefferson e tanti altri, in seguito l'hanno ammirata e studiata, ma soprattutto riproposta, citata, alterata, portata in giro per il mondo decretandone la lunga vita nell'immaginario collettivo. Casa Malaparte era stata più sfortunata. Altrettanto bella e famosa come la dimora palladiana, la Villa Savoye di Le Corbusier o la Falling water di Frank Lloyd Wright, non aveva avuto lo stesso destino. Tutti l'avevano rispettata fin troppo, impedendole di generare nella realtà o nell'immaginario quello sterminato universo di variazioni multiple che si addicevano al suo carisma insondabile. Evidentemente quest'opera era una magnifica trappola. Racchiudeva troppi significati perché una ragione prevalesse sull'altra. Si sentiva l'eco del fascismo, della guerra, del potere, quello del comunismo, della libertà e, soprattutto, l'essenza di un uomo straordinario che ne aveva fatto un mito di pietra.Nei miei trentennali studi sull'architettura mediterranea ne ho parlato tante volte, commettendo lo stesso errore che molti prima di me avevano fatto. Ho cercato senza esito positivo la radice architettonica, il senso della composizione partendo dalla sua osservazione, dallo studio dei suoi disegni, dalle visite all'interno e all'esterno incrociando ogni cosa con i film che, da Jean-Luc Godard a Liliana Cavani, l'avevano celebrata senza avere il coraggio di trattarla come un meraviglioso seme di tante germinazioni immaginarie.Dopo aver accettato un invito alla Mostra Internazionale di Architettura della Biennale di Venezia del 2014, dove mi fu chiesto di provare ad alterarla, compresi che questa era l'unica strada da percorrere affinché la rossa sfinge caprese potesse di nuovo sgranchirsi i muscoli. Composti i primi disegni, ne sono venuti fuori molti altri. Sentivo, però, che questo non bastava. Bisognava spingere a fondo e provare a fare un libro. Proponendo non più l'ennesima ricostruzione della vicenda storiografica relativa a questo misterioso bunker ma piuttosto un trattato polifonico che non avesse solo la realtà dentro di sé ma soprattutto la manipolazione come autentica origine di ogni architettura".
Un libro, questo di Gambardella, non solo per addetti ai lavori, ma per tutti coloro che amano Malaparte, tornato di recente al centro dell'attenzione del pubblico e della critica anche per il bel romanzo "Malaparte, morte come me" di Rita Monaldi e Francesco Sorti, Baldini & Castoldi Editori, tra i finalisti della settantunesima edizione del Premio Strega.
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