Tu sei qui: CronacaOmicidio di Ravello, chiesto ergastolo per Enza Dipino
Inserito da (redazionelda), martedì 13 giugno 2017 10:18:29
Ergastolo con isolamento diurno: è quanto chiesto dal Pubblico Ministero Cristina Giusti per Enza Dipino, accusata di concorso in omicidio volontario, con Giuseppe Lima, della morte di Patrizia Attruia avvenuta a Ravello nel marzo 2015, il cui corpo venne ritrovato in una cassapanca.
Una richiesta forte - la massima pena - su un'accusa ancora debole. Ieri mattina, presso la Corte d'Assise del Tribunale Salerno, in un'ora e mezza di relazione, davanti al presidente Massimo Palumbo, la Giusti ha motivato la sua richiesta, ripercorrendo tutte le tappe del caso, dal giorno del ritrovamento del cadavere alla modifica del capo di imputazione in seguito alla nuova perizia del medico legale e anatomo patologo Giovanni Arcudi.
Al Pubblico Ministero non hanno convinto le dichiarazioni rese dalla Dipino - presente ieri in aula - la sera del ritrovamento del cadavere, il 27 marzo 2015, in cui si autoaccusava dell'omicidio per strangolamento e le successive rese in carcere, il 13 aprile 2015, con «una serie di bugie infinite». «Quando lei si è accorta che (Lima ndr) l'aveva lasciata in galera ha cominciato a cambiare versione» ha detto la Giusti, prima avrebbe dichiarato che Patrizia sarebbe morta la mattina del 26 marzo, dopo aver fatto colazione. Poi che sarebbe stata uccisa la sera del 25, dopo il suo rientro. Secondo le successive dichiarazioni della Dipino, Patrizia quella sera l'avrebbe scoperta in intimità col suo Giuseppe cominciando a inveire contro di lei. Poi sarebbe stato l'uomo, che viveva in casa con le due donne, a riempirla di botte. In un primo tempo la Dipino dice di non aver assistito all'aggressione, perché scappata in cucina, per poi cambiare ancora la sua versione. Il pm legge alcune dichiarazioni rese dalla Dipino alla quarta versione dei fatti: «Non l'ha vista nella cassa, lo sa lui (il Lima ndr) mi sono stancata, non posso dirlo perchè mi mena, lei (la Atruia ndr) ha cominciato a menare me, le ho messo le mani alla gola e lei è caduta, poi lui si è alzata dal letto e le ha dato un pugno in fronte». «Per quale motivo una donna si autoaccusa di omicidio? Per paura? - si chiede la Giusti - non racconta mai la verità, non racconta mai bene i fatti. Per quale motivo non abbiamo mai una dinamica ma sempre elementi di disturbo? Una volta la mattina, un'altra la sera, lei partecipa, poi no, una volta in cucina poi nel corridoio, prima dice che l'ha messa lei, poi Lima nella cassapanca. L'imputazione è concorso: io non levo Lima ma nemmeno la Dipino. Le dichiarazioni sono contrastanti tra di loro ma gli elementi certi sono la presenza del dna entrambi di entrambi sotto le unghia della vittima».
Sono stati i tanti silenzi della donna di Ravello, su domande specifiche, a insospettire ulteriormente la Giusti convinta che la verità sia nella prima dichiarazione, quando ammette: «Io l'ho strangolata». «C'è un movente (quello passionale ndr), tutta una serie di elementi che convergono in questa direzione che smentiscono le sue dichiarazioni che non la rendono credibile. C'è un concorso tra lei e Lima Giuseppe e dopo che l'hanno uccisa si sono messi d'accordo con la versione».
Ma cosa è successo di preciso quella notte tra il 25 e il 26 marzo nell'appartamento di Via San Cosma? La causa della morte, secondo il professor Arcudi, non era avvenuta né per strangolamento, né strozzamento digitale ma a seguito di una violenta aggressione, con arresto cardiaco causato da un riflesso nervoso. La colluttazione, verosimilmente con pugni e calci, è proseguita con una compressione sulla parte anteriore del collo, fatta con un mezzo contundente, come un bastone. Qui l'esperto anatomo patologo non si era sbilanciato, in considerazione delle numerose possibilità, compresa una parte del corpo dell'aggressore, avente però superficie ruvida, quale un braccio - come sostiene la difesa - coperto da un capo di abbigliamento ruvido.
La Giusti sostiene che la vittima possa essere stata percossa con due diversi mezzi contundenti e con una certa forza, quindi da due persone. «Lo hanno fatto insieme dopo le 22,40 del 25 marzo», «la Dipino la picchia insieme a lui, lesioni con diversa energia ci etica e diversi mezzi contundenti».
Prima di essere deposto nella cassapanca il cadavere sarebbe rimasto a terra per 12 ore. "Stai zitta se no ti faccio fare la fine di quell'altra" avrebbe detto Giuseppe Lima pensando al da farsi, con Enza che telefona a un suo conoscente, Vincenzo Della Pietra, di Maiori, chiedendogli se avesse a disposizione un furgone per potervi caricare una cassapanca e portarla a Salerno.
«Quando (la Dipino ndr) ha avuto la possibilità di dire le cose non lo ha fatto secondo un modo lineare - spiega in aula la Giusti - Perché non lo ha fatto? C'è solo un motivo: perchè le mani al collo gliele ha messe lei». E traccia il profilo psicologico della presunta omcida: «Non è una persona succube, sulla scena del delitto è parte attiva. Lei c'era, entrambe avevano un movente: la gelosia. Nelle intercettazioni ambientali lei spesso ride, facendo gesti di mani intorno al collo, mai mostrato compassione per la morte (della Attruia ndr)».
Per quanto riguarda la posizione del Lima, per la Giusti si sarebbe creato un alibi falso, lo stesso che continua a portare avanti dal carcere.Per lui si attende ancora l'avviso di conclusione delle indagini preliminari: era accusato inizialmente solo di occultamento di cadavere e favoreggiamento personale.
Per la Dipino chiesta la massima pena. E' uscita in lacrime dall'aula, accompagnata dalla polizia penitenziaria.
Domani, mercoledì 14 giugno, sarà il turno della difesa con gli avvocati Marcello Giani e Stefania Forlani pronti a controbattere. E non si escludono ulteriori colpi di scena.
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