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Chiesa

I nuovi poveri chiedono aiuto a San Francesco

Da quando è scoppiato l'allarme Covid al Convento arrivano ogni giorno decine di lettere

Inserito da (redazionelda), giovedì 23 aprile 2020 21:52:21

Rosa, di Roma, ha perso la mamma: «Padre, non posso andare da lei, non posso abbracciarla. Questo dolore è infame.

Perché Dio lo permette?», Giusy, siciliana, adesso vive l' inferno in casa: «Mio marito mi fa la guerra. Non ho più nemmeno un nome. Sono solo 'questa'».

Nanni scrive da L'Aquila, poche parole che acchiappano lo stomaco: «Non posso vivere con 298 euro al mese e due figli. Sono un padre che non vede futuro».
C'è il sangue dell' Italia del virus, ma ci sono anche parole di fede e di amore nelle centinaia di lettere che ogni giorno arrivano alla rivista San Francesco del Sacro Convento di Assisi. Come quella di Giovanni da Matera: «In tutto questo dolore vedo una segno di speranza guardando a San Francesco, in questa Croce io sto conoscendo l' amore».

Lettere vergate a mano con la calligrafia incerta degli anziani.
Come si faceva una volta. Semplici biglietti ma anche mail spedite dai ragazzi. E' il caso di Matteo, lavoratore stagionale negli alberghi di Salerno. Il sogno nel cassetto di fare un figlio con la fidanzata grazie a quei 100 euro al giorno che guadagnava durante l' estate: «Caro Padre Enzo, il 25 aprile per molti era l'inizio del Ponte, per me era l'inizio del lavoro, ma ora è tutto chiuso. Fino a quando? Per me erano 100 euro che mi permettevano di vivere un anno intero. Sognavamo un bambino, ora nemmeno quello. La prego, mi aiuti».

Nei frammenti di carta stropicciata bussa l'Italia degli ultimi, di quanti spesso non hanno nemmeno più voce. Di chi non ticchetta sui social. Di chi cerca una carezza in una semplice parola, o un perché a ciò che sta accadendo. Credenti e non.

Mamme, infermieri. Disoccupati. Tanti che si sentono semplicemente 'soli'.
E Padre Enzo Fortunato, direttore della rivista, ogni sera, si china sulla scrivania zeppa di fogli e prova a rispondere a tutti. «Le lettere che arrivano alla nostra redazione esprimono il dramma e la speranza che ogni persona, adulto o giovane, papà o mamma, sta vivendo. E' il battito di un cuore in affanno che si rivolge a San Francesco e cerca delle risposte. La Chiesa sia sempre più casa accogliente mostrando la più bella espressione che Gesù ha consegnato alle nostre fragili vite: prenderci cura, cura degli altri. So che in molte realtà si sta incarnando la Chiesa del grembiule. Con una consapevolezza: che senza la preghiera siamo troppo poveri per aiutare i poveri».

C'è la vita che non c' è più. Rinviata, violentata, annientata. Centoventi lettere al giorno. Migliaia dall' inizio dell' epidemia.
«Padre, prega per mia figlia Sofia, oggi doveva fare la promessa di matrimonio, a causa del virus ha rimandato», scrive una donna. E un' altra donna, dall' altro capo dello Stivale, racconta lo strazio del maltrattamento, divenuto ancor più crudele con la quarantena: «Da quando mio marito è a casa. Mi dice che devo morire, non ha rispetto, mi offende. E io lo vedo come un mostro. Lo so, è grave quello che dico».

Marinella, da Modica, pensa alle sue bestie: «Abbiamo un agriturismo e una fattoria didattica, era il momento di lavorare e invece è tutto fermo. Ma i nostri animali devono mangiare comunque». Nunzia, da Scafati, è madre di 5 figli, docente precaria e pendolare tra Napoli e Firenze dove insegna ai detenuti di Sollicciano: «Vedo il buio e cerco di mantenere il timone di questa famiglia. Non è facile, sono abbattuta, ma con loro non posso abbattermi. Il volto dei bisognosi illuminava il mio cammino, oggi ne ho bisogno io.

L'esperienza di lavoro in carcere mi ha cambiato la vita, oggi la vita sta cambiando me. Non so se ce la farò a mantenere i miei figli: quel poco che avevamo da parte ormai è già speso». Per Nicola (Reggio Emilia) «Il Coronavirus è il male. L' umanità sanguina ma in questo periodo sta affiorando l' amore. Caro Padre, vorrei vedere la luce dell' amore in questo momento drammatico, forse è quello propizio per la nostra vita. Tutto questo serve a cambiare il mondo? Può questa esperienza servirci da monito?». E c' è chi si mette al servizio della Chiesa, degli altri. «Vorrei lenire chi soffre», scrive Stefania da Genova. «Guardare quello che Dio ha compiuto in Assisi mi dà speranza e mi fa vedere che la vita è comunque un dono», dice Giovanni. Anche Francesca si 'aggrappa' a Poverello «per cercare sostegno». (La Nazione)

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