Tu sei qui: Storia e StorieRicordi di Maiori: riti, tradizioni e personaggi del tempo che fu
Inserito da (redazionelda), mercoledì 8 agosto 2018 22:02:41
di Sigismondo Nastri
La vita cittadina, prima dell'alluvione del 1954, si svolgeva sul corso Reginna: bello, tra due file di palazzi eleganti, come documentano le fotografie dell'epoca. Le aree del lungomare, a ridosso della strada carrozzabile (inaugurata il 12 gennaio 1853), le occupavano agrumeti e orti e, a parte il convento e la chiesa di s. Francesco, le costruzioni si potevano contare sulle dita di una mano: magazzini per la lavorazione dei limoni, qualche residenza di famiglie facoltose, e, sul versante opposto, un minuscolo fabbricato: era lo studio del pittore Gaetano Capone, che presentava sulla facciata dipinti giovanili di Raffaele d'Amato e Pietro Scoppetta, poi demolito negli anni settanta del secolo scorso insieme col viadotto che scorreva da costa d'Angolo all'attuale incrocio con la via Nuova Chiunzi.
Il corso Reginna, come ho detto, era fiancheggiato da edifici signorili: tra questi, il Palazzo Rosso (risparmiato dall'alluvione), che ospitava al pianterreno il Circolo Sociale, quindi i palazzi Conforti, Guadagno, il piccolo palazzo Di Martino, di due piani, nel cui scantinato era in funzione un mulino alimentato dalle acque del torrente; sulla destra, il palazzo Cimini, col bel loggiato al primo piano, purtroppo andato distrutto, e il palazzo Pagliara.
Tra gli insediamenti commerciali e le altre attività economiche, che erano radicate nell'area del corso Reginna, ricordo l'emporio di tessuti di Biagio Apicella, il laboratorio fotografico di Raffaella Savastano, la calzoleria di Meccariello, la tabaccheria Zuppardi, l'edicola di Vincenzo Sarno, l'esattoria delle imposte gestita da Filippo Apicella, il panificio di 'Riolio 'e Stella, la salumeria Macchiarola, quella di Peppino 'a Minella, i negozi di frutta e verdure della Nevaiola e di Alfonsina 'e muschillo, il garage di Salvatore Pisacane, il bar di Giovanni Apicella e quello di Michele Sarno, la Cooperativa di consumo, l'esercizio di vendita di olio e cereali di Gioacchino di Martino, il negozio di Peppe 'e scarapiello, famoso anche per una torta molto appetibile a base di castagne, la pescheria di Giacomino 'e Iacullo, il Banco di Napoli e la Banca di Maiori, lo storico ristorante Mammato al vicolo Concerie, quello di Vincenzo 'a Trainera, la ricevitoria del Lotto. La ricostruzione avviata, senza una adeguata pianificazione, dopo il 1954, lasciò campo libero alle colate di cemento, mutando i connotati al paese e trasformandone l'economia che adesso fa perno essenzialmente sulla vacanza estiva. Ed è un peccato perché Maiori ha le potenzialità, grazie alle sue risorse - i beni paesaggistici e ambientali, le stesse strutture ricettive -, per accogliere i turisti in ogni periodo dell'anno. Intanto, ed è positivo questo, ha recuperato il corso Chi avesse curiosità di scoprire com'era il corso Reginna prima del 1954 lo può ritrovare in un film di Roberto Rossellini, Viaggio in Italia, che ci mostra suggestive sequenze della festa patronale del 15 agosto, quando viene portata in processione la Madonna, tra due ali di folla. C'è un curioso episodio, riferitomi da Alfonso Sarno, che i fatti di Maiori li conosce come le sue tasche: vale la pena di riportarlo qui. Era il mese di settembre quando si stavano girano le scene della processione per il film. Furono montate le luminarie, ingaggiata la banda musicale. Don Clemente Confalone, sacerdote carismatico, molto rispettato, si oppose a mandare per le strade, e solo per una finzione, la statua venerata della protettrice Santa Maria Assunta. Si dovette necessariamente ripiegare su quella dell'Addolorata, la cui festa ricorreva peraltro proprio in quel periodo.
Nella Chiesa collegiata di Santa Maria a Mare, il giorno precedente, la statua è prelevata dall'armadio, nel quale è custodita, sotto lo sguardo commosso dei fedeli, per essere collocata accanto all'altare maggiore. Singolare il momento della vestizione col prezioso abito ricamato in oro: un'operazione che è stata assolta per lunghi anni, con delicatezza e... discrezione, dalla compianta Assunta Conforti. Nel chiuso della sacrestia. Nessuno poteva assistere a quel... rito. Ci provò una volta don Clemente, per mera distrazione, e fu subito rimandato indietro con una ramanzina: "Voi entrereste nella stanza dove vostra sorella si sta vestendo?".
Alle sette di sera della vigilia la Madonna è condotta sul sagrato, passando dalla porta del battistero, quella della navata del Sacramento: ed è l'unica volta che questa porta si apre, in tutto l'arco dell'anno.
Ormai sono pochi coloro che continuano a osservare le "vigilie", recependo le prescrizioni di Santa Madre Chiesa. Raccontava Maria Di Bianco, indimenticata "memoria storica" di Maiori, che un tempo ci si limitava a mangiare pane e fette di anguria. Ce n'erano tante di angurie accatastate nelle postazioni dei melonari, negli androni degli edifici nobiliari. Era un elemento caratteristico della ricorrenza. "Nu solde 'a petaccia - arringava Cicco Paolo dal suo negozio, sotto il vecchio municipio -, mange, bive e te lave 'a faccia".
In cucina, intanto, le donne cominciavano ad approntare il pranzo per l'indomani, che si doveva concludere rigorosamente con le melanzane col cioccolato ('a mulignana cu 'a ciucculata), dolce ghiottoneria della gastronomia locale.
Preparava deliziosi gattò, per l'Assunta, un valente pasticciere, don Ciccio 'o spilacito. Li regalava al vescovo e al prevosto: torte coperte da una glassa colorata che riproduceva scorci di paesaggio con la Torre Normanna o il Castello Miramare. A don Ciccio si attribuisce l'invenzione dei sospiri, altra deliziosa leccornia tuttora molto richiesta, di cui è maestra indiscussa la Pasticceria Trieste.
Maiori era un paese di "limonari". Nei mesi estivi arrivavano, a ritmo regolare, i "vapori mercantili" dall'Inghilterra: gettavano le ancore al largo e iil trasbordo degli agrumi dalla riva si effettuava a mezzo di barche. I comandanti delle navi si contendevano, a suon di moneta, i servigi di Francesco ‘e Pallottino, un pezzo d'uomo dotato di un'abilità incredibile nello stivaggio. Era, per questo, il primo a salire a bordo. A volte, dalla tolda dei piroscafi, si lanciava un messaggio ai bagnanti: "Attenzione, abbiamo visto ‘a canesca".
I limoni, raccolti nei vari poderi, sistemati in grosse sporte, intrecciate con stecche di legno di castagno, capaci di contenerne anche cinquanta chilogrammi, venivano trasportati a spalla, e non senza fatica, fino ai magazzini. Erano operazioni compiute dalle donne, costrette a un faticoso andirivieni lungo impervie scalinate e ripidi sentieri ed a compiere il percorso in discesa col pesante carico sulle spalle. Peppino Di Lieto, detto ‘o stonato per le sue idee sempre fuori dal coro, le ha definite, in un delizioso poemetto, ‘e furmechelle. Gli uomini si dedicavano alla pesca. O erano imbarcati come marinai sui piroscafi, oppure oziavano nei caffè. Quello del "tavolo verde" è un vizio che a Maiori si tramanda di generazione in generazione e coinvolge ogni ceto.
Nei magazzini toccava alla maestra dirigere ed assegnare i compiti alle lavoranti: che spidocchiavano uno per uno i limoni, li incartavano, li incassavano nelle ceste.
Per un mese intero, dal 15 luglio al 15 agosto, di primo pomeriggio, prendeva l'avvio, e si propagava da un magazzino all'altro, la recita di un particolarissimo "rosario", accompagnata dal canto delle "sette allegrezze" della Madonna, che "leggiadra rifulge / fra mille splendori / sul ciel di Maiori", in un singolare quanto efficace linguaggio popolare. Un esempio: "Vi prego o Maria per quella bella potenza / liberatemi da male lingue e da sentenze". Gli echi si diffondevano, intrecciandosi, fino a diventare un vero e proprio dialogo tra gli agglomerati urbani situati in posizione più alta: Lazzaro, Vena e Castello. Oggi questa pratica devota si svolge nell'atmosfera raccolta di alcune chiesette, quali san Nicola, in via Casale, san Rocco, in piazza d'Amato, la Madonna della Libera, in via Nuova Chiunzi.
Dal 15 luglio al 15 agosto tutti i balconi, dopo l'imbrunire, venivano illuminati con torce o lampioni, facendo assumere al paese un aspetto presepiale. Ed è ancora così, almeno per quanto riguarda i rioni più caratteristici: Vena, Campo, Casa Imperato., Casale dei Cicerali, Lazzaro. Una scena suggestiva destinata a ripetersi ogni giovedì sera, in tutto l'arco dell'anno, come gesto di omaggio alla Protettrice. Il 5 agosto, dieci giorni prima della festa, si procedeva (si procede tuttora) all'alzata del "quadro", tra una nuvola di fumo e sparo di mortaretti, in pieno corso Reginna. Una cerimonia che continua a richiamare molta gente. Sono lontani, però, i tempi in cui la Nevaiola (chiamata così perché vendeva la "neve", cioè il ghiaccio) cuoceva, per l'occasione, montagne di pannocchie nel pignatone di rame e Masto ‘Ntonio preparava i maruzzielli in un sughetto di pomodori e peperoncini piccanti. Si tornava a casa col cartoccio. Erano molto apprezzati anche i sott' e ‘ncoppa, gelati inseriti, a mo' di sandwich, tra due biscotti sottili come ostie, acquistabili al prezzo di una "nichel" (quattro soldi) da Rafèle ‘o scemo, i subbretti di Rafèle ‘e Vatassarre, al largo Monastero, quelli di Venturiello, sotto i giardini di palazzo Mezzacapo, e quelli di Carmosino, a ridosso della chiesa di san Giacomo.
Il 15 agosto Maiori accoglieva - è ancora così - una marea di gente con le sue luminarie. Le chiamavano "ville": grandiosi archi di lampadine multicolori che si allungavano tra le due file di palazzi del corso. In piazza d'Amato si levava imponente la sagoma del "cappellone", sul fondo del palco per l'orchestra. Era la riproduzione in cartapesta di una monumentale facciata barocca. Mentre in località san Domenico destava ammirazione, con i suoi elaborati giochi d'acqua, la fontana di Ciancianiello.
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