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Politica

Minori: un appuntamento importante per un risveglio delle coscienze

Inserito da (redazionelda), lunedì 22 aprile 2019 07:30:13

di Francesco Criscuolo*

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Lascia attoniti la cortina di silenzio assordante che avvolge il popolo minorese ad appena un mese dall'appuntamento per il rinnovo degli organi elettivi comunali.

E' un silenzio tanto più stupefacente, quanto più inedito per un'opinione pubblica tradizionalmente attenta e avvezza a un meccanismo di penetrante controllo sociale, talvolta ipercritico, dei fatti amministrativi, tanto da farne oggetto di discussione, anche accesa, in qualsiasi tempo e luogo.

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Il disinteresse regna sovrano e si nota un clima di resa incondizionata, che porta a stare alla finestra, come se in campo non ci fossero indirizzi e prospettive capaci di infiammare le menti e riscaldare i cuori.

Non è minimamente pensabile che questo sentimento di estraneità o di freddezza sia da attribuire a un atteggiamento di ignavia, da cui i minoresi sono sempre rifuggiti, data la loro radicata tendenza a uscire allo scoperto, a prendere posizione e a non assimilarsi a quelli che Dante (Inf. III, 64) definisce "sciaurati che mai non fur vivi".

Né è credibile che quella odierna sia una convenienza miope a trincerarsi dietro la ricerca di interessi ristretti e meramente egoistici, che stride con la consueta consapevolezza di ritrovarsi nell'ambito di una sorte comune.

Nulla di più estraneo all'immaginario generale di un senso di inutilità o di umana insignificanza, come quello descritto da Shakespeare nel dramma "Sogno di una notte di mezza estate" (III, II): "Vana è la corsa quando a correre all'inseguimento è la viltà e a darsela a gambe è il coraggio".

In realtà, anche il microcosmo minorese rispecchia la diffusa percezione di disaffezione e quasi di "alienazione" rispetto alla res publica che si registra in vaste aree del mondo occidentale, con la prevalenza del rifugio nel privato per non affrontare i rischi connessi alla lotta politica.

C'è, però, una serie di ragioni specifiche, che rendono conto di questa condizione anomala di avvitamento.

In primo luogo, non è difficile riscontrare il crollo rovinoso del castello di illusioni, correlato a modelli organizzativi ed operativi del potere pubblico che si sono radicati in capo a ben poche figure di riferimento.

Basti pensare che dal dopoguerra ad oggi si sono succeduti appena quattro sindaci, con notevole pregiudizio degli stessi capisaldi della democrazia, mentre in tutti i comuni viciniori la regola generale è stata l'alternanza costante, che è il sale della vitalità democratica. Le classi dirigenti locali si sono autoriprodotte come per gemmazione spontanea, mosse, per usare un'espressione del poeta francese Paul Eluard, da un "duro desiderio di durare", a detrimento delle speranze nutrite ai fini dell'attuazione di progetti di ampio respiro economico e civile.

In secondo luogo, è venuta in essere una sorta di eclisse della politica come bene della polis nel suo complesso, che ha indotto i più alla rinuncia a idee forti e alla conseguente assenza di una visione organica del destino del paese negli anni a venire per ripiegare sul piccolo cabotaggio quotidiano.

In terzo luogo, il perseguimento, piuttosto a larghe maglie, di interessi talora inconfessabili ha generato un ossequio acritico e una specie di obligatio naturalis al sostegno politico in cambio dell'elargizione copiosa di favori, la cui reale natura di diritti soggettivi finisce per essere oscurata, dal momento che un segmento vitale della Pubblica Amministrazione viene concepito come una cornucopia di consensi più che come fonte istituzionale di erogazione di servizi relativi a quello che l'art. 32 Cost. It. definisce "diritto fondamentale dell'individuo e interesse della collettività".

D'altro canto, coloro che sono stati sui banchi dell'opposizione nell'ultimo trentennio (quorum scribens) si sono prodotte in un'azione di contrapposizione frontale, spesso inquinata da personalismi più o meno accentuati, e, per ciò stesso, sterile e foriera di non poche lacerazioni del contesto collettivo.

Ben a ragione Machiavelli ha scritto nei "Discorsi sopra la prima deca di Tito Livio": "Non si dolgano i principi d'alcuno peccato che facciano i popoli, ch'egli ha in governo, perché tali peccati conviene che nascano o per sua negligenza, o per esser lui macchiato di simili errori".

Quel che più preoccupa è il rarefarsi progressivo del senso di appartenenza, vale a dire dell'esigenza di sentirsi e riconoscersi come una comunità di vita.

Un paese non è un puro luogo geografico o un agglomerato amorfo di abitazioni e i cittadini non sono dei semplici abitanti o, peggio, degli inquilini avulsi dagli elementi costitutivi e dalle ragioni dello "stare insieme". Nessuno è un'isola. Siamo, invece, tutti un arcipelago, le cui isole sono bagnate dallo stesso mare.

La necessaria distinzione dei ruoli e la correttezza delle relazioni interistituzionali, ma anche la solidarietà, l'inclusione, la coesione sociale, la condivisione di valori, di diritti e di doveri rappresentano l'impalcatura dell'organizzazione della convivenza. Lo svolgimento delle attività di ognuno non è un fatto a sé stante, ma trova la ragion d'essere entro una sfera di interessi che superano quelli puramente individuali e non possono ignorare la gestione amministrativa come motore di un vissuto non solipsistico.

Il Presidente della Repubblica Mattarella ha ben chiarito questi concetti, quando, nel messaggio di fine anno 2018, ha fatto osservare che non basta limitarsi alla semplice delega e che non è giusto non sentirsi coinvolti nella responsabilità per l'esito gratificante o catastrofico dell'agire politico anche di coloro che sono ritenuti "i migliori", perché ciascuno di noi è, in misura più o meno grande, protagonista del futuro proprio e di quello degli altri consociati.

Lo stesso capo dello Stato ha aggiunto testualmente che comunità "vuol dire anche essere rispettosi gli uni degli altri, vuol dire essere consapevoli degli elementi che ci uniscono, battersi, come è giusto, per le proprie idee, rifiutare l'astio, l'insulto, l'intolleranza, che creano ostilità e timore".

Sarebbe un vero controsenso che un popolo, in quanto tale, fosse ostaggio dell'indifferenza, del quieto vivere, della paura.

Si ha bisogno di rompere con un movimento circolare che fa ruotare ognuno attorno a se stesso. Il virus individualista fa spazio a processi di disgregazione dei legami civici e dei rapporti interpersonali e porta all'assolutizzazione dell'io, con la conseguenza della crescita del fenomeno inquietante della solitudine anche nei nostri piccoli centri. La solitudine materiale e morale investe i giovani disillusi e demotivati, come chi invoca implicitamente aiuto nelle tribolazioni personali o familiari e non trova ascolto o gli anziani, segnati dalla sofferenza per non avere nessuno vicino a sé, o chiunque sia bisognoso di assistenza o di conforto e rimane abbandonato a se stesso, senza alcun supporto né pubblico né privato.

La realtà innegabile della solitudine è una ferita inferta nel corpo vivo di qualsiasi aggregazione sociale, è una grave malattia che colpisce tanti nostri fratelli più di quanto si possa pensare, facendoli rientrare nel novero degli "invisibili". Essa interpella tutti e suona come uno sprone a non rinchiudersi nel cerchio protetto delle associazioni ecclesiali e non, ma a "sporcarsi le mani" anche con l'impegno politico e sociale notoriamente definito da S. Paolo VI "la più alta forma di carità".

Tocca soprattutto ai giovani, non incattiviti da ambizioni distorte né induriti dalla sete di potere né compromessi con un passato di divisioni rancorose, dedicare attenzione a un tessuto sfilacciato, riprendere con coraggio l'iniziativa e mettere in atto misure per invertire la rotta, aprirsi a una revisione anche autocritica per sottrarsi al rischio dell'irrilevanza, contribuendo a far emergere una coscienza comunitaria più vigile.

E' una sfida che i cittadini di Minori, di fronte ai momenti cruciali delle scelte per il bene comune e pur nella legittima diversità delle idee, possono affrontare per dar luogo a un risveglio operoso e a una vera primavera di rinascita, indirizzando le nuove generazioni verso orizzonti che non siano quelli della sfiducia, della rassegnazione, della passività, della sudditanza psicologica e culturale.

Il tempo è poco, ma ci sono le condizioni per farcela.

*già dirigente scolastico del Liceo "Ercolano Marini" di Amalfi

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