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Politica

Quando Ravello fece faville: il "Premio Ravello" e l'arrivo di Andreotti. Un viaggio nei ricordi di Secondo Amalfitano: l’ideazione di un premio letterario unico, l’incontro con il Presidente Andreotti

Il potere logora chi non ce l'ha, storia di un giorno a Ravello

Secondo Amalfitano racconta la nascita del "Premio Ravello: Favole per un Anno", concepito come un omaggio alla favola e alla bellezza del borgo. Tra aneddoti personali e incontri memorabili, spicca la visita di Giulio Andreotti, ospite d'onore nel 1991. Un’esperienza straordinaria che diventa riflessione sul valore delle istituzioni e la mancanza di figure carismatiche nell’Italia contemporanea

Inserito da (Admin), sabato 11 maggio 2013 08:02:22

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di Secondo Amalfitano*-

Non so quanti ricordano il "Premio Ravello: Favole per un Anno"! Un premio nato una sera d'estate al bar San Domingo, allorquando in un dopocena mi ritrovai con Claudio Angelini e Carlo Barrese, un volto e una voce fra i più noti dell'allora RAI, a parlare di premi letterari. Aiutatemi a realizzare un premio letterario, chiesi ai due cari e prestigiosi amici. La loro risposta fu: "in Italia ci sono già troppi, e alcuni molto blasonati, premi letterari; non vale la pena! E poi, in un posto da FAVOLA come Ravello, non si può fare un premio qualsiasi". Quella parola, FAVOLA, fece accendere la famosa lampadina. A notte fonda il premio aveva già una sua struttura e anche un nome.

Prese il via, così, un percorso che ha portato a Ravello oltre cinquanta nomi fra i più prestigiosi dell'Italia di quegli anni, dirette televisive, copiosi articoli e servizi sulle maggiori testate, quattro volumi che hanno visto cimentarsi nella scrittura di favole politici, artisti, sportivi, industriali, chirurghi, fra i più gettonati d'Italia.

Una congiuntura particolare favorì l'arrivo di Andreotti al premio; lo avevamo rincorso per tre anni senza riuscirci, allorquando scoprii che presso l'Hotel Caruso era custodita nel libro degli ospiti una delle ultime vignette del famoso Pino Zac (Giuseppe Zaccaria); realizzai una copia di quella vignetta e ne feci dono al capo della segreteria di Andreotti e fratello di Pino. L'operazione dette i suoi frutti: Andreotti, Presidente del Consiglio in carica, accettò di scrivere una favola e di venire a Ravello.

Arrivò nel primo pomeriggio dell'undici luglio 1991 atterrando in elicottero al campo sportivo di Scala. Ad attenderlo, lungo il tappeto rosso posto sul campo, cerano il Prefetto di Salerno, il Questore di Salerno, i comandanti regionali di Carabinieri, Guardia di Finanza, Capitaneria di Porto, i due sindaci con fascia di Scala e Ravello ed una piccola folla di curiosi. Io, da buon secondo, ero defilato dal lato opposto vicino alla rete di recinzione per non rubare la scena ai primi.

Andreotti scese dall'elicottero, salutò piuttosto frettolosamente i convenuti, abbandonò il tappeto rosso e attraversò parte del campo avvicinandosi a me e, porgendomi il suo ultimo libro come dono di benvenuto, mi abbracciò e salutò calorosamente.

Fu l'inizio della fine! Ma questa è un'altra storia che, forse, racconterò in chiusura (sto scrivendo questi ricordi, che per me hanno un'enorme importanza, e ancora non so se alla fine del racconto vorrò rovinare queste piacevoli sensazioni con ricordi brutti e torbidi di un periodo storico dell'Amministrazione Comunale di Ravello. Lo scopriremo insieme).

Andreotti si concesse un "bagno di Andreottiani" presso il giardino dell'albergo Caruso; il folto esercito, capeggiato dall'allora sottosegretario Paolo del Mese e Assessore Regionale al turismo Raffaele Colucci, vedeva fra gli altri e insieme a me, il caro Lorenzo Ferrigno. Il mitico Giulio si fece salutare praticamente da tutti, non lesinò sorrisi, strette di mano e battute; per molti dei presenti si trattò di un momento unico e irripetibile.

Dopo il Caruso, Andreotti fu condotto nella casa Comunale per il benvenuto ufficiale dell'Amministrazione, quei pochi minuti di ufficialità dovettero avere un brutto effetto sullo stato di salute dell'intera giunta, subito dopo la cerimonia scomparvero tutti, e nessuno di loro presenziò alla manifestazione di consegna del premio e alla cena di gala che seguì. Fortunatamente per Ravello il malore fu passeggero e Sindaco e giunta al completo fecero la loro riapparizione in piazza mentre, presso la piscina dell'Hotel Giordano, volgeva al termine la meravigliosa serata.

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La fine della cerimonia fu segnata da uno spettacolo pirotecnico organizzato a Torello dal compianto Mario Palumbo. Lo seguii dal palco già montato di Villa Rufolo con Andreotti e Monsignor Marra (all'epoca Ordinario Militare per l'Italia); il Presidente alla fine dello spettacolo mi disse : "complimenti Assessore (solo per cronaca: ero ancora assessore in ottima salute della "Giunta malaticcia", ma dopo poco non lo sarei stato più - con scaramantica napoletanità preciso che mi riferisco all'assessore, non all'ottima salute)! E' lo spettacolo pirotecnico più bello che ho mai visto, e se lo dico io ci può credere". Replicai: "in che senso Presidente, se lo dice Lei?" , e lui : "Sono Presidente Onorario dell'Associazione Pirotecnici Italiani e di fuochi d'artificio me ne intendo". Sono sempre rimasto con il dubbio che non si riferisse solo ai botti pirotecnici, ma anche a quelli della politica.

La cena di gala mi riservò l'onore di rappresentare l'Amministrazione al tavolo con Andreotti, Maria Gabriella di Savoia, Gore Vidal, Nureiev. Una cena indimenticabile: arte, storia, cultura, politica, economia, raffinatezza, garbo, un master strepitoso condensato in poche ore (pensate che fortuna: fossi stato male pure io, mi sarei perso quella straordinaria e irripetibile occasione).

Alle 0,40 si avvicinò al nostro tavolo il segretario di Andreotti e disse: " Presidente è mezzanotte e quaranta". Andreotti lo gelò: "ho capito! Mancano venti minuti all'una! Decide la Principessa quando ci dobbiamo alzare".

Ricordo che in quella occasione al Giordano su mia indicazione successero due cose : fece la sua comparsa il libro degli ospiti illustri, e il caposala, Angelo, per la prima volta indossò una giacca di colore diverso da quelle dei camerieri per distinguerlo e dare un tono alla "brigata". Mi direte: ma che "ci azzecca" con Andreotti? A parte la considerazione che per un cinquantennio tutto quello che è successo in Italia "ci azzecca" con Andreotti, c'entra anche questo, e come se c'entra! Andreotti si complimentò per la cena e per l'ambiente trovato; non era persona da mentire in tali circostanze, o taceva o si rifugiava nella sua ironia inimitabile.

Accompagnammo Andreotti a Palazzo Confalone - albergo Palumbo all'una e venti, salutò me e il prefetto dandoci appuntamento per le cinque e mezzo del mattino. Il Prefetto ed io ci guardammo interrogandoci : e mò ? Io decisi di andare a casa almeno per rinfrescarmi e cambiarmi; il Prefetto decise di rimanere in albergo appoggiandosi su un divano e mi chiese se al ritorno potevo portargli un pettine. Alle cinque e mezza noi eravamo tramortiti, Andreotti, puntualissimo si presentò fresco e tonico e mi disse: "Mi sono messo a letto e per la mia gioia ho rivisto un film con Anna Magnani che non vedevo da oltre venti anni". I miei quarant'anni vacillarono molto e lì capii fino in fondo il significato del detto : chi dorme non piglia pesci.

Scesi in piazza, andammo in duomo aperto apposta per far celebrare messa a Monsignor Marra assistito da Don Peppino, e al termine, grazie ad Alfonso Calce che aveva anticipato pure lui l'apertura del bar, riuscimmo a fare colazione alle sei e trenta; Andreotti la volle fare rigorosamente al banco senza sedersi ai tavoli, cappuccino, cornetto e pronti via, si torna a Roma, non prima però di stringere la mano e complimentarsi con Mario Palumbo per lo spettacolo pirotecnico.

Poche ore, ma intense. Poche ore che si rivelano poi maestre di vita. Tutte le volte che mi sono ritrovato vicino a grandi uomini ho avvertito il grande magnetismo che essi posseggono e diffondono. L'ho provato anche quella volta e le volte successive che l'ho incontrato. Ho scritto sulla mia bacheca di face book in occasione della sua morte: "magari ce ne fossero ancora tanti di uomini così". Lo ribadisco ancora una volta e sempre più convinto: al nostro Paese (e anche al nostro paese) mancano uomini così, uomini che, pur sbagliando i qualche occasione, portano dentro di se il senso dello Stato e delle Istituzioni; uomini di un'altra statura che sapevano farsi rispettare in Italia e nel mondo; uomini capaci di elaborare e realizzare un progetto politico; uomini che ovunque passano lasciano segni, condivisibili o meno, ma segni chiari e leggibili; uomini che meritano rispetto, quand'anche in un confronto democratico forte e vivace, e non il turpiloquio e il lerciume che sembra abbondare oggi sulla bocca anche di persone altolocate, finanche di premi nobel che dovrebbero vergognarsi e che, quelli si, infangano la nazione.

Arrivato alla fine di quel racconto mi sono concesso una piccola pausa di riflessione e ho deciso di non toccare argomenti e persone che avrebbero il solo risultato di sporcare qualche cosa che per me è estremamente pulito e bello.

All'attualità e alla contingenza paesana ricordo solo uno dei tanti aforismi attribuiti ad Andreotti: quando due si separano la colpa non è mai da una parte sola. Forse ciascuno di noi dovrebbe meditare su questo, dismettere i panni di verginelle o di carmelitani scalzi, prendersi la propria parte di colpa e, se possibile, trarne le debite considerazioni.

Io l'ho fatto e cercherò di continuare a farlo.

*Ex Andreottiano assolutamente non pentito

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