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Cronaca

Ravello, Enza Di Pino è stata scarcerata. E' tornata "a casa"

Inserito da (redazionelda), venerdì 20 aprile 2018 08:40:49

È stata scarcerata nel pomeriggio di ieri Enza Di Pino, dopo tre anni e ventitré giorni trascorsi presso la casa circondariale di Fuorni per l'omicidio di Patrizia Attruia di cui inizialmente era stata individuata esecutrice unica. Alle 20 e 50 il cellulare della Polizia penitenziaria l'ha accompagnata presso l'abitazione dell'anziano zio Salvatore Gallo, in via Casanova - poco distante da San Cosma - disponibile ad accoglierla per consentirle di proseguire il regime degli arresti domiciliari per altri sei anni. Così come ordinato dalla Corte d'Assise d'Appello di Salerno in conseguenza della sentenza che riduceva drasticamente l'entità della pena originariamente formulata dalla pubblica accusa con richiesta a trent'anni di reclusione poi combinata in primo grado a 23 e in appello a 9 anni.

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Non era il caso di farla ritornare nella "casa degli orrori" di via San Cosma, rimasta sotto sequestro per tre anni, ma neanche idonea per qestioni "ambientali".

L'importante è che da stamani Enza, alla soglia dei dei 53 anni, possa tornare a sentirsi "a casa" dopo tre anni d'inferno da quel maledetto 25 marzo 2015. Che torni ad amare un cane, un gatto, che si occupi delle faccende di casa e torni a sentirsi utile per l'anziano zio che con i cugini, stimati professionisti in Costa d'Amalfi, non le hanno mani fatto mancare sostegno morale in questi difficili anni.

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«Esprimo grandissima soddisfazione per i risultati nel tempo faticosamente ottenuti e attendono di sottoporre l'inter d'indagine alla Corte di cassazione per l'analisi di tutte le fasi processuali e le motivazioni delle sentenze» ha dichiarato l'avvocato Marcello Giani, con la collega Stefania Forlani legali della Di Pino.

«Soddisfazione nel constatare che avevamo da sempre avuto ragione su tutto. Possiamo affermare che per noi difensori la strada è stata tutta in salita. Ringraziamo quanti, come le testate locali, come Il Vescovado, hanno sempre creduto nell'innocenza della Signora Vincenza Di Pino come i Signori Gallo, cugini dell'imputata, che neanche per un frammento di secondo hanno fatto mancare alla cugina il loro affetto e la loro solidarietà» ha chiosato Giani.

Il 12 marzo scorso la sentenza della Corte di Assise di Appello (presidente Francesco Verdoliva, a latere e relatore il dottor Francesco Siano, procura generale dottoressa Antonella Giannelli) che condannava la donna di Ravello a 9 anni di reclusione con la concessione delle attenuanti generiche (nel massimo) e la minima partecipazione al fatto con Lima. Esclusi la preterintenzione e i futili motivi. In buona sostanza, in appello, grazie soprattutto al lavoro instancabile dei legali Marcello Giani e Stefania Forlani, i giudici hanno riconosciuto la minima partecipazione al fatto. A uccidere Patrizia non fu lei.

E alla fine è stata accolta la tesi supportata da questo giornale sin dal primo momento, cioè che da sola Enza Dipino non avrebbe potuto uccidere la sua "antagonista". A condannare da subito la povera Enza, purtroppo, le sue stesse dichiarazioni rese la sera del 27 marzo quando si autoaccusò del delitto, per poi ritrattare, qualche settimana dopo, in un interrogatorio effettuato in carcere, nel quale riconobbe di essere stata costretta dal convivente Giuseppe Lima, il compagno della Attruia, ad autoaccusarsi sotto minaccia. Altro che corpo ritrovato per caso dopo due giorni all'interno della cassapanca! Quel tempo fu necessario al Lima per esercitare terrorismo psicologico sulla povera Enza - tipica sindrome di Stoccolma - . Patrizia venne uccisa nella serata del 25 marzo al suo ritorno dal bar sotto casa. Aveva sorpreso il suo compagno, Peppe, a letto con Enza (i tre vivevano nella stessa abitazione da diversi mesi) e ne scaturì un momento di follia che portò a una violenta colluttazione e alla successiva morte della scafatese. Ma non per mano della Dipino. Non fu lei a sferrare il colpo mortale alla sua antagonista in amore. Per il Lima, che inizialmente fu soltanto accusato di occultamento di cadavere rimanendo in libertà per quasi due anni, il concorso in omicidio prima e ora l'accusa, pesantissima, di aver assassinato la sua donna.

Per lui il 24 aprile prossimo l'udienza di discussione nell'ambito del processo che si celebra con richiesta di rito abbreviato dinanzi al Giudice per l'udienza preliminare Maria Zambrano. Il Pubblico Ministero ne aveva richiesto trent'anni di reclusione. Con la sentenza odierna si chiude, per il momento, un capitolo importante del processo che rende giustizia, almeno in parte, alla povera Enza Dipino che ha avuto l'unica colpa di aver ospitato in casa propria, all'inizio dell'inverno 2014, quella coppia di amici che viveva di stenti in una baracca poco distante. Definita una "spietata e cinica calcolatrice" (si leggeva nelle carte processuali) quando in realtà è ed è stata soltanto un'ingenua, figlia adottiva vissuta per gran parte della sua vita con la sola madre tra i cani e la terra, in un'abitazione fatiscente. Una donna che a cinquant'anni non possedeva una significativa cultura e non conosceva ancora il mondo (non sapeva cosa fosse un cubetto di ghiaccio, sic!).

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