Tu sei qui: AttualitàIl dissolvimento dei beni comuni tra l’indifferenza generale
Inserito da (redazionelda), giovedì 15 luglio 2021 17:52:34
di Francesco Criscuolo*
Ci sono snodi di valenza istituzionale e di prassi quotidiana, la cui importanza decisiva per la vita del comprensorio della Costiera amalfitana non trova adeguato riscontro nel dibattito politico - mediatico e, di conseguenza, nell'opinione pubblica.
Colpisce la scarsa attenzione, che accompagna le frequenti forzose interruzioni della scorrevolezza della SS 163 da Amalfi a Salerno per riparazioni o nuove opere lungo il percorso in un periodo di intensi flussi turistici, il notevole ritardo nei lavori di ripristino del viottolo pubblico di accesso alle abitazioni private in zona Vagliendola ad Amalfi dopo il crollo del sottostante tratto di strada, avvenuto il 3 febbraio scorso, la mancata vigilanza sulla pericolosità di numerosi costoni rocciosi immediatamente confinanti con la rotabile, la sottrazione di spazi di utilità pubblica anche da parte di enti esponenziali di comunità locali, le progettazioni di inderogabili interventi infrastrutturali con correlative localizzazioni irreversibilmente deleterie sotto il profilo naturalistico e paesaggistico.
Lascia ancor più sbigottiti la passività che fa da pendant alla dissennata progressiva opera di demolizione del patrimonio pubblico materiale e immateriale, da tempo venuta in essere, in forme striscianti e non troppo sotterranee, con il complice silenzio della cittadinanza, interrotto solo dalle più o meno banali dinamiche comunicative proprie dell'era social.
Sembra profilarsi un inquietante rovesciamento della sensibilità collettiva. Non una levata di scudi, non un gesto di insofferenza o di rimostranza, nessun clamore si è sollevato a fronte di situazioni, che solo qualche decennio fa avrebbero suscitato un'ondata di indignazione popolare.
E' un atteggiamento quasi remissivo, spiegabile probabilmente con il diffuso preoccupante disamore per la res publica, con l'altrettanto dilagante mentalità connotata da servilismo e cortigianeria e dal corrispettivo timore, purtroppo non ingiustificato, di ritorsioni anche pesanti da parte di chi detiene l'autorità politico - amministrativa, nonché last but not least con la superficialità e il minimalismo che inducono a pensare, come dicono i francesi riguardo alle fasi stagionali, che "tout passe très vite".
Marc'Antonio, parlando nel foro dopo l'uccisione di Giulio Cesare, nell'omonima tragedia di Shakespeare, esorta i cittadini romani a far sentire il loro sdegno per il misfatto, aggiungendo che "sele povere, mute bocche continueranno a tacere, parleranno le pietre che insorgeranno in un'aperta ribellione" (III, 2).
Nella fattispecie, parleranno le pietre del suolo disinvoltamente sfruttato e consumato a vantaggio di pochi, le pietre che sorreggono gli impianti idrico - fognari malfunzionanti e quelli da realizzare, come negli intenti del comune di Maiori, secondo criteri di scelta devastanti per la fisionomia e i pregevoli aspetti ambientali delle zone di allocazione, le pietre, anche di valore storico - culturale, illegittimamente rimosse per far posto a costruzioni o ampliamenti di superfici utili private, le pietre sovraccaricate e deturpate dal "cemento selvaggio", oggetto di ben 120 operazioni di sequestro compiute, nell'area ricompresa tra Vietri sul mare e Positano, dall'Arma dei Carabinieri il 5 luglio u. s., le pietre indebitamente insozzate dallo sbrodolamento di pizzette, panini, pasticcini, gelati nelle ore serali ad opera di giovani dal non spiccato senso civico, le pietre degli scivoli di accesso a tratti di spiaggia finora liberamente fruibili.
A nessuno può sfuggire che sono praticamente scomparsi i diritti di uso o di passaggio anche su terreni o fondi di proprietà privata per il soddisfacimento di bisogni vitali non altrimenti appagabili e, più in generale, i diritti tradizionalmente classificati, con termini mutuati dalla dottrina giuridica romanistica e medioevale, come "usi civici", che fino a pochi anni fa i comuni ricatalogavano, a scadenza annuale, con regolare registrazione, portandoli a conoscenza della collettività.
Soprattutto sono sotto attacco e sminuiti, nella possibilità del loro godimento, i beni comuni, che il giurista M. A. La Torre nel saggio "L'acqua come bene comune e le nuove disuguaglianze nel diritto ai commons" - Mimesis ed. srl, Sesto San Giovanni (MI) 2016 - delinea sinteticamente come "quei beni che condividiamo, che abbiamo ereditato (e non prodotto) e che abbiamo il dovere morale di trasferire alle future generazioni: tutto ciò che nessuno in effetti può dire di possedere, o, in altri termini, che possediamo tutti insieme, a differenza dei beni di mercato, che sono posseduti privatamente".
L'aria pulita della biosfera, l'acqua, i sentieri rurali, le strade urbane perlopiù di ascendenza storico - artistica, il verde di prati e giardini pubblici ben curati, le zone collinari, le spiagge, il mare e altri elementi geofisici scolpiti ab immemorabili con i caratteri ferrei dell'inalienabilità, dell'indisponibilità e dell'imprescrittibilità, da indicatori ineliminabili di comunanza di interessi, stanno diventando fonte di disuguaglianze e disparità di trattamento. Non vi è chi non veda che la balneazione in mare, risorsa preziosa per tutti, è, ormai, un privilegio per pochi, in quanto deliberatamente e programmaticamente preclusa ad ampi strati di persone, specie se non abbienti.
In alcuni paesi, come Minori e Maiori, ma, in parte, anche a Cetara e Atrani, sono stati addirittura adottati e resi esecutivi atti amministrativi di chiusura dei rispettivi litorali, sicuramente ricorribili con una sorta di class action in sede giurisdizionale, tanto più che le coperture in legno, adoperate per la stessa chiusura, di ampi spazi, solitamente destinati al passeggio, presentano sconci tali da far impallidire, al confronto, i più vistosi abusi edilizi degli anni ‘60 e ‘70 del secolo scorso.
Il comune, da ente di programmazione e organizzazione di una sana convivenza civile su scala locale, ha assunto vesti di ben altro segno, assurgendo, di volta in volta, al ruolo di comune imprenditore, comune manager, comune costruttore, comune investitore, comune assistenziale e snaturando, così, la funzione, che gli è propria, di indirizzo generale e di coordinamento dell'attività amministrativa.
Non c'è bisogno di un manuale di economia politica per sapere che il comune, così come altre entità territoriali sovraordinate, fatte salve le disposizioni di cui all'art. 43 Cost. it., non è e non può essere un ente economico con finalità di profitto, anche perché non può perseguire, in ragione della dovuta accessibilità dei prezzi e dell'utilità sociale dei servizi resi, la privatizzazione dei guadagni, né, in caso di mancato equilibrio tra costi e ricavi, come avvenuto in passato per gli enti pubblici economici e per le categorie di grandi imprese, la socializzazione delle perdite, con conseguenti aggravi a carico dei cittadini. Gli stessi cittadini, che gli artt. 2 e 3 Cost. it. riconoscono come titolari di diritti e di doveri, non vengono trattati e tutelati in quanto tali, ma vengono considerati - e degradati - come meri destinatari di una prestazione economica.
L'autorevole giurista Sabino Cassese ha chiarito, in un editoriale del "Corriere della Sera" di qualche settimana fa, che non compete allo Stato o alle sue articolazioni periferiche creare e dare lavoro, ma curare e attuare meccanismi di ordinato sviluppo, in cui possa trovare svolgimento una profittevole produttività, scaturente da un'autentica cultura d'impresa.
Compito dell'ente locale, invero, è quello di predisporre, con la corretta gestione dei servizi essenziali di sua pertinenza e in ossequio all'art. 41 Cost. it., il terreno di gioco, affinché i soggetti economici propriamente detti possano disputare la loro partita con i mezzi e i rischi della libera iniziativa privata. In capo ad esso si radica, altresì, il potere - dovere di esercitare, per quanto di sua competenza, un'azione di contrasto nei confronti di smaccati profili di un capitalismo rampante, sfociato in un endemico e incontrollato sistema predatorio, che rischia di assestare un colpo distruttivo, anzi mortale, non solo agli investimenti produttivi, ma anche agli ordinari asset del territorio in cui viviamo.
Non diversamente da quanto avviene in molte città italiane, nelle nostre piccole località sta andando in scena un sequestro effettivo dei posti più belli e attraenti, in cui i "domini materiae" sono bed and breakfast, che operano in ogni dove non certo a prezzi stracciati e di sicuro con pesanti contraccolpi sui residenti alla ricerca di abitazioni, dehors in ordine sparso, sedie e tavolini di bar et similia, che occupano tutto lo spazio pubblico possibile, pedane di legno e strutture metalliche, che invadono anche la sede stradale, intere piazze e vie, specialmente quelle più caratteristiche dei vecchi centri storici e, talora, interi quartieri, tramutati, in nome di un distorto concetto del richiamo turistico, in posticci palcoscenici di surrettizie o presunte note di colore e di folklore locali, quando non anche, più banalmente, ridotti a quinte delle attività di ristorazione.
Quanti sono chiamati ad amministrare i comuni della fascia costiera, da Cetara a Positano, proprio perché custodi ipso iure di un unicum storico - ambientale dichiarato dall'UNESCO patrimonio mondiale dell'umanità, non possono lasciarsi irretire da condizionanti azioni di lobbying né consentire un così spregiudicato sfregio dell'immagine e dell'integrità di luoghi noti in tutto il mondo per la loro ricchezza di fascino e di forza attrattiva, avallando qualsiasi turpitudine e ogni svilimento di pregi di preminente interesse individuale e comunitario in cambio di un aumento di consensi. La rassegnazione passiva, l'indifferenza, l'assenza di partecipazione responsabile del popolo non rappresentino, per essi, un incentivo a giocare meglio la loro partita di potere.
Le attuali generazioni, che, secondo la felice espressione di Gandhi, hanno ricevuto in prestito tanta bellezza dai propri figli e nipoti, si macchierebbero di una colpa grave e irreparabile, se riconsegnassero loro distruzioni e scempi perpetrati a cuor leggero.
La splendida Costa d'Amalfi non dovrà mai essere simile a quello che, nel canto XXXIII del suo poema "Orlando furioso", L. Ariosto, parlando di ciò che vede Astolfo in viaggio sull'ippogrifo verso la luna, descrive come un "fetido mondo" alla mercè di principi scellerati, pronti a divorare i beni di tutti.
* già dirigente scolastico del Liceo "Ercolano Marini" di Amalfi
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