Tu sei qui: AttualitàFacebook: reato di diffamazione aggravata anche per chi commenta
Inserito da (redazionelda), giovedì 26 aprile 2018 10:39:38
Rischia una condanna per diffamazione aggravata chi pubblica un post offensivo e denigratorio sul proprio profilo Facebook: il social network, infatti, consente di pubblicizzare e diffondere i contenuti diffamatori tra un gruppo di persone apprezzabile per composizione numerica. A dirlo è l'avvocato Lucia Izzo in un articolo pubblicato sul sito dello "Studio Cataldi - Diritto quotidiano" (www.studiocataldi.it) secondo cui il reato può scattare anche nei confronti di chi semplicemente aggiunge al post originale un successivo commento, avente la medesima portata offensiva, in quanto elementi diffamatori aggiunti possono comportare una maggior diminuzione della reputazione della nella considerazione dei consociati
Lo ha stabilito il Tribunale di Campobasso, sezione penale, nella sentenza n. 396/2017 (qui sotto allegata) che si è pronunciato sulla vicenda di alcuni imputati del reato di diffamazione aggravata per aver leso su Facebook la reputazione di un magistrato.
Uno degli imputati aveva pubblicato un post sul suo profilo in cui offendeva il giudice che lo aveva condannato al versamento di una somma in favore della cassa delle ammende poiché, chiamato a testimoniare in un'udienza, non si era presentato senza addurre alcuna giustificazione nonostante gli fosse stata notificata l'intimazione a comparire.
Il post "incriminato" fu, in brevissimo tempo, visionato da un numero imprecisato di utenti, ricevendo, nel giro di qualche ora, numerosi "Mi piace" e commenti da parte di amici "virtuali". Tra questi alcuni risultavano essere particolarmente denigratori e diffamatori sia della figura del magistrato che di tutta la categoria.
In base a tali circostanze, il Tribunale ha ritenuto responsabili penalmente per diffamazione "aggravata" sia l'autore del post che due dei suoi "amici" dopo aver accertato sia che i profili fossero effettivamente associabili agli autori dei commenti, sia che le espressioni denigratorie fossero riferite al giudice del processo nel quale l'autore del post era chiamato a testimoniare.
Infatti, l'ipotesi delittuosa in questione presuppone un'offesa a una persona determinata e individuabile e, nel caso di specie, l'autore del post aveva sia fatto riferimento alla vicenda giudiziaria che esplicitato nome e cognome della persona offesa.
Il provvedimento richiama l'orientamento della Cassazione in tema di diffamazione a mezzo social network, secondo cui "la condotta di postare un commento sulla bacheca Facebook realizza la pubblicizzazione e la diffusione di esso, per la idoneità del mezzo realizzato, a determinare la circolazione del commento tra un gruppo di persone, comunque, apprezzabile per composizione numerica".
Nel caso in esame, il Tribunale riconosce nei confronti di tutti gli imputati l'aggravante prevista dal terzo comma dell'art. 595 c.p. (oltre che quella di cui al comma 4) posto che la diffamazione tramite internet costituisce un'ipotesi di diffamazione aggravata in quanto commessa con altro (rispetto alla stampa) mezzo di pubblicità.
Un commento diffamatorio pubblicato tramite la bacheca Facebook, infatti, ha potenzialmente la capacità di raggiungere un numero indeterminato di persone e, per l'idoneità del mezzo utilizzato, di determinare un'ampia possibilità di circolazione del commento tra un gruppo di persone comunque apprezzabile per la composizione numerica (Cass. n. 24431/2015).
La libertà di pensiero, spiega il Tribunale, seppur garantita dall'art. 21 Cost, trova dei limiti nel rispetto altrui e nella tutela dell'ordine pubblico e del buon costume, nonché nel diritto di ogni cittadino all'integrità dell'onore, del decoro, della reputazione. La libertà di pensiero, in sostanza, trova un limite nella legge penale, essendo la diffamazione un atto illecito e non una manifestazione della libertà di pensiero.
Ne consegue la lesione della reputazione di una persona determinata, in quanto l'autore del post non si è di certo limitato a esprimere frasi offensive nei confronti di una o più persone appartenenti a una categoria di persone non individuabili.
Ancora, la rilevanza penale della condotta dei due "amici" non è esclusa dal fatto che questi si erano "limitati" ad aggiungere al post da altri pubblicato un mero commento successivo.
Invero, va osservato che "in tema di diffamazione, la reputazione di una persona che per taluni aspetti sia già stata compromessa può divenire oggetto di ulteriori illecite lesioni in quanto elementi diffamatori aggiunti possono comportare una maggior diminuzione della reputazione della nella considerazione dei consociati" (cfr. Cass. n. 47452/2004).
Neppure è sufficiente a escludere la responsabilità penale degli imputati il fatto che il post in questione, comprensivo dei commenti denigratori, sia poi stato rimosso e diventato non più visibile sul profilo Facebook, essendosi, il reato, già perfettamente consumato all'atto della percezione delle frasi denigratorie da parte di più di una persona.
Ebbene, che l'offesa alla reputazione del magistrato sia stata percepita da più di due persone trova conferma nella molteplicità dei commenti e "mi piace" che in poco tempo sono stati apposti al post in riferimento, molti dei quali successivi agli interventi degli altri due imputati. La diffamazione, che è reato di evento, si consuma nel momento e nel luogo in cui i terzi percepiscono l'espressione ingiuriosa.
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