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Inserito da (redazionelda), sabato 9 maggio 2020 12:29:52
di Antonio Schiavo
Ieri il figlio di una mia ex collaboratrice è stato ricoverato al Bambin Gesù di Roma per un forte mal di pancia.
Immaginate l'angoscia della mamma: il bambino ha appena quattro anni ed era molto sofferente oltre che inevitabilmente impaurito.
Non è stato portato in chirurgia, ma per la maledetta situazione che stiamo vivendo, direttamente, insieme a lei, al Reparto di Malattie Infettive. Sottoposti a tampone che per un bimbo non deve essere proprio il massimo e mantenuti in isolamento stretto.
Peritonite: intervento chirurgico d'urgenza. E' entrato in sala operatoria alle sette di sera e ne è uscito quasi a mezzanotte.
La mamma ha misurato a passi i corridoi antistanti il blocco chirurgico, il terrore della diagnosi, il tempo che non passava mai, l'assoluto silenzio di medici e infermieri costretti a distanza.
Più o meno alla stessa ora ho ricevuto una foto da Ravello, da quella piazza Vescovado che avevo visto così triste perché insolitamente vuota nonostante il periodo che di norma la vede brulicare di paesani e forestieri incantati e indaffarati.
Il fotogramma riportava una mandria di... (fate voi) che in barba ad ogni precauzione si accalcava beata (o beota) davanti a palazzo Sorrentino, bivaccando incoscientemente su sedie spostate dappertutto. Altro che divieto di assembramento, di distanziamento sociale, utilizzo di mascherine.
Come quella massa di imbecilli a Milano che sui Navigli si sono assembrati dimenticando quello che è stato e quello che malauguratamente potrebbe ancora essere.
Voi mi direte: ma quel è il nesso fra le due cose?
Il nesso è che in Italia si sta soffrendo, molti ospedali sono stati o sono ancora al collasso, oggi anche un ricovero come quello del bimbo di cui vi parlavo in premessa a questo pezzettino somma tragedia a tragedia, difficoltà a difficoltà, angustia ad angustia.
C'è tutto un mondo di medici che non possono lasciare a sé stessi i malati non Covid-19, che lottano strenuamente sul campo con le forze che cominciano a mancare, che assistono i pazienti senza risparmiarsi.
Non hanno bisogno di bandiere sui balconi, frasi retoriche o ad effetto, arcobaleni che colorano post e pubblicità. Chiedono solo, insieme ai malati, a tutti i malati, intelligenza nei comportamenti, precauzioni complementari alla pazienza a cui tutti siamo chiamati, senso di solidarietà per i più deboli.
In una sola parola: rispetto.
Quella che i geni dei Navigli o di Piazza Vescovado non sanno nemmeno dove sta di casa!
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